“Il sogno di una cosa”, Marco Baliani racconta Pasolini

Ritrovarsi nella distanza. Dentro “Il sogno di una cosa” di Pasolini. Distanza tra la scrittura (1948-49), la pubblicazione (‘62) e la prima assoluta di Marco Baliani per “Avostanis 2022” ai Colonos di Villacaccia, oggi alle 17.30. Distanza tra mondo contadino, industriale e ora digitale. “Distanza politica” nel tentativo di riformare le coscienze.
Distanza nelle contraddizioni rivelatrici, tra tradizioni, pulsioni e disillusioni, e nel passaggio dalla gioventù al “dopo”. Distanza in cui ritrovarsi, tra il sogno e la cosa, tra “me paìs” e “Un paìs no me”, titolo della rassegna.
Uno spettacolo progettato dai Colonos, ispirato al primo romanzo di Pasolini, di e con Marco Baliani, con musiche dal vivo eseguite da Leo Virgili, Gabriele Cancelli, Walter Grison, Andrea Medeot e Marco D’Orlando.
«Dentro questo romanzo ci sono i germi di tutte le future opere pasoliniane». Così Baliani ci introduce a “Il sogno di una cosa”: «In quelle terre contadine il giovane Pasolini si è formato, ha scritto in lingua friulana le prime poesie, ha conosciuto la passione pedagogica, che non lo avrebbe più abbandonato».
Un’opera di vitalità materico-corporale: «La vita che pulsa nei corpi dei protagonisti chiede sostanze su cui espandersi, risarcimenti e materia concreta su cui esercitare la sua veemenza.
Corpi giovani che anticipano quelli delle borgate dirupate di Roma dei Ragazzi di vita. Densi di pulsioni erotiche, slanci ideali, sfide rischiose come sogni, e di gesti ancora legati alle tradizioni che pesano sulle scelte future, in un continuo gioco di contraddizioni».
Baliani parla di “straziante bellezza del paesaggio” non ancora violato, che in scena diventa “scultura”, all’unisono con l’agire dei corpi “intrisi di stupore” in un “racconto corale” che ha “la forma dell’arazzo”.
Così si traduce il passaggio dalla scrittura originale all’oralità richiesta dal teatro: «L’oralità necessita di immagini memorabili, non possiede il tempo paziente della scrittura, il gesto non viene detto ma agito». Voce e corpo a veicolare fame di vita, di giustizia, riscatto e rivalsa spirituale, in luoghi non ancora traviati «dalla frenesia della ricostruzione del dopoguerra, ancora portatori di un possibile sogno».
Baliani ci conduce a «scoprire l’origine di certe visioni», ma anche il lascito: «I loro sogni non resisteranno ma, colti nell’esemplare momento di transizione della vita, riverberano ancora tutta la potenza della speranza giovanile in un cambiamento prossimo venturo. Il sogno non era solo loro ma di un intero paese, il nostro».
Quanto al luogo di rappresentazione, conclude: «È il posto giusto per riannodare dal principio le tante strade creative intraprese poi dal poeta. Dagli amici dei Colonos sono già stato negli anni, e non solo io, è passato di lì buona parte del teatro di ricerca italiano».
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