Il socio Marino Tremonti: 96 anni di conquiste dal Parvati all’Ararat

UDINE. Settantanove anni di iscrizione al Cai e non sentirli. Marino Tremonti, classe 1924, negli anni Sessanta è stato fra coloro che hanno primeggiato nella conquista di vette inviolate dalle Americhe all’Himalaya. Oggi si gode quei ricordi, che sono impressi in decine di pubblicazioni internazionali, come il britannico Alpine Journal, che pubblicò la sua relazione della prima ascesa al monte Parvati, una cima di 6.632 metri nell’Himalaya indiano, scalata nel 1968. Aveva cominciato dieci anni prima conquistando le guglie del Mawenzi sul Kilimangiaro (una la battezzò “Cai Udine”), seguite da una serie di prime nelle Ande dell’Ecuador e in Canada.

Ma le sue conquiste sono anche locali: l’Università di Udine, per esempio, per il quale si è battuto dagli anni Settanta e tuttora presiede il comitato che la difende. In passato si è dedicato alla conservazione dell’enorme patrimonio della biblioteca della Saf. Ma soprattutto ha aperto la via delle spedizioni internazionali agli alpinisti friulani, con il suo esempio e incoraggiamento.

«In Sudamerica scalare le vette non si dice alpinismo ma andinismo. Continuiamo a pensare che le Alpi siano il centro di tutto, ma c’è un intero mondo da esplorare» scriveva nel 1970.

La prima tessera del Club alpino a 16 anni, negli anni universitari a Padova frequenta la scuola del Cai. Nel ’47 è laureato. Cinque anni di segretario comunale poi vince il concorso di notaio e comincia a pensare alle spedizioni. «Mia moglie Algie mi ha conosciuto così, come un ammalato di montagna». Nel 1964 l’ha portata in viaggio di nozze al Namche Bazaar, sulla via per l’Everest. «Per un po’ mi ha seguito, poi quando sono nati i figli ha rinunciato». L’ultima grande cima è stata l’Ararat, in Turchia, nel 1986 con il figlio Giulio.

Ma anche “Il più grande conoscitore delle montagne del mondo delle nostra regione” come lo definiva Sergio De Infanti, ha cominciato come tutti: calpestando i sentieri di casa. «A Lorenzago di Cadore, da dove proviene la mia famiglia». Prima con i genitori e le quattro sorelle maggiori, poi con l’amico Luigi. La corda era quella «comprata in un negozio di alimentari», la guida quella del Berti, «che prendevo in biblioteca. Non eravamo preparati. Non ho mai messo in testa un caschetto. Oggi è la prima cosa che si deve fare, ed è giusto così, perché i sassi vengono giù». —

A.B.

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