Il quadro che non volle cedere mai i braccianti in assemblea al Cormôr

La vicenda artistica di Zigaina inizia - negli anni rovinosi della guerra - nella pace agreste della Bassa friulana, in un paesino nei pressi di Villa Vicentina dove, fra struggenti solitarie meditazioni, con ostinazione studia, disegna, dipinge e impara ad esprimere “quello che gli si muove dentro”. Lo domina un senso di inquietudine esistenziale, un senso di dolore cosmico, universale, un’angoscia interiore dalla quale solo la pittura sembra capace di liberarlo. I soggetti delle prime opere sono quelli della tradizione delle nature morte: barattoli aperti, girasoli secchi, frutti putrescenti, ma inseriti in un contesto anticonvenzionale, a indicare il forte temperamento e le indubbie doti artistiche che Marcello Mascherini intuisce, incoraggiando il diciottenne pittore a esporre nella XXVI Sindacale Giuliana a Trieste del 1942. Frequenta quindi il Liceo Artistico di Venezia e consegue la maturità nel 1944. La scoperta ammirazione per la pittura forte, violenta e con tutto ciò ricca di arcaiche suggestioni di Georges Rouault lo porta poi ad affrontare, nelle opere anteriori al 1948, il motivo eroico del dolore attraverso un duro segno nero, ispessito, vigorosamente dinamico che serra le figure come il piombo serrava le immagini delle policrome vetrate gotiche. È il periodo delle Crocifissioni e dei Concerti, opere di sicura impostazione e spesso di grande dimensione. È però nel complesso clima culturale dell’immediato dopoguerra, con un’Italia prostrata, volta alla faticosa ricerca di una nuova dimensione economica, sociale e umana, che maturano i convincimenti pittorici del giovane Zigaina, che si presenta alla XXIV Biennale veneziana nel 1948 con un olio dell’anno precedente dal titolo “Concerto n.1”. Decide intanto di militare in quello che definisce «il partito piú avanzato della classe operaia», ciò che avrà una decisiva influenza sullo sviluppo della sua pittura. Le sue idee sull’arte, sul modo di operare e sul ruolo dell’artista nella società, idee che ne informeranno - sempre - l’iter pittorico, sono all’epoca già chiare. «Personalmente - afferma - e come realista (perché è questa la corrente dell’arte italiana cui appartengo) penso che un artista moderno non possa in alcun modo disinteressarsi delle vicende degli uomini, ma come ogni altro vero uomo di cultura abbia il compito di adoperare la sua autorità per imprimere all’andamento delle cose il senso che egli ritiene il piú giusto a seconda della sua concezione della vita e del mondo».
Nel 1948 è presente con un’opera alla prima Biennale veneziana del dopoguerra e l’anno seguente realizza tredici disegni per il volume pasoliniano “Dov’è la mia terra”. In questo periodo entra in amicizia con Pier Paolo Pasolini, che aveva conosciuto già nel 1946, quando il poeta ancora abitava a Casarsa e agitava le pigre acque dell’assonnata cultura friulana con sorprendenti proposte di rinnovamento e modernizzazione della lingua e della poesia friulana. La fraterna frequentazione di Pasolini giovò enormemente alla sua crescita culturale in quanto gli permise di accostarsi ad altri mezzi espressivi, quali il cinema e la saggistica, che seppe far propri per conferire piú largo respiro e corali contenuti alla sua pittura. Alla tragica scomparsa dell’amico - e alla sua figura di poeta, di letterato, di critico, di regista, di uomo - Zigaina avrebbe in seguito dedicato un gran numero di appassionati e incisivi saggi che hanno provocato, e tuttora provocano, accesi dibattiti e discussioni. Nel 1952 presenta alla Biennale il grande quadro (cm 250x316) dedicato a uno dei piú controversi momenti della protesta bracciantile, “Assemblea di braccianti sul Cormôr”: sciopero a rovescio del luglio 1950, un dipinto di rara bellezza per l’ampio respiro di cui è pervaso, per i valori universali che sa trasmettere. Nell’immobile fissità dei volti, nella forte, virile tensione degli animi trova sublimazione la ferma volontà dei braccianti friulani, “armati” di vanghe e di biciclette, di far sentire la propria voce al padronato, di togliersi dalla condizione di sotàns in cui erano per secoli vissuti. Sembra quasi che vi aleggino le parole scritte per altra causa da Pietro Calamandrei e di lí a pochi anni incise sul cemento del Monumento alla Resistenza di Udine ideato da Gino Valle e Federico Marconi: «Era giunta l’ora di resistere, era giunta l’ora di essere uomini, di morire da uomini per vivere da uomini». Un dipinto che lo stesso Zigaina - che al tema delle biciclette, delle falci, dei carri, dei ciclisti sull’argine, in quegli stessi anni dedicò numerosi quadri - riteneva il suo capolavoro, tanto da decidere di non venderlo a privati collezionisti, ma di cederlo alla Galleria d’Arte Moderna di Udine perché restasse patrimonio del Friuli. Cambiano i soggetti (tele del 1959-1960 raffiguranti “Ceppaie”, “Bambini che giocano alla guerra”, “Notturno italiano”, “Il Protagonista”, e la serie dei “Generali”, ironici richiami al "disgelo" krusceviano e alla inutilità della guerra), si modifica la poetica (Zigaina accoglie esperienze materiche e informali), ma non viene meno l’alta qualità dei dipinti, sempre apprezzabili per la sapiente impaginazione, i calibrati contrappesi, gli eccellenti dosaggi di colore.
Negli anni Settanta riemerge con tutta la sua pregnanza l’angoscioso ricordo di Redipuglia, con i suoi due cimiteri, il primo, quello vecchio, romantico se cosí si può dire, «ordinato come uno dei tanti cimiteri il giorno dei Santi»; il nuovo maestoso, disumano e asettico, con quella parola “Presente” ossessiva e ridondante scolpita sulla bianca scalinata che asseconda il dolce declivio del colle e sale verso le croci che in alto si stagliano nel cielo, una parola che - dice Zigaina con amara, sarcastica ironia - “trasforma tutto in una immane guida telefonica della morte”.
Si allarga intanto la sua notorietà anche internazionale, per cui viene chiamato ad allestire mostre a Losanna, Monaco di Baviera, Praga. Secondo Kristian Sotriffer, «resosi rapidamente conto delle proprie possibilità, Zigaina ha ben presto individuato le quattro tematiche fondamentali del suo nuovo modo di guardare ai miti dell’antichità: la figura paterna (intesa come una sorta di Super-Io); gli elementi caratteristici del paesaggio di pianura (tronconi di salici, fossati, canali, segmenti di campi e di laguna); gli animali e le loro metamorfosi (la falena e l'antiopa, la testa d'ariete); e infine i pericoli della tecnica (l'astronave sospesa sul paesaggio come una minaccia). I quadri più recenti (Verso la laguna. Notturno, La sera nel vigneto, Sui campi dell'arciduca, Il viaggiatore notturno, Mio padre l'ariete, La sera nel vigneto e altri dai titoli similari) sono, per forma e contenuto, di una bellezza che non trova raffronti nella contemporanea pittura italiana.
(direttore della Triennale*)
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