Il premio Amidei al regista Bellocchio: «Mi lascio sedurre dalle storie vere»
Il cineasta ha presentato l’ultimo lavoro “Rapito”. A Gorizia il riconoscimento come Opera d’autore 2023

Il cinema di Marco Bellocchio non resta mai in superficie, scava e corrode finché arriva allo spettatore in tutta la sua potenza visiva ed evocativa.
Già dal primo passo dentro le viscere della settima arte, il regista allora ventiseienne agitò le coscienze con “I pugni in tasca”, manifesto della ribellione ben prima del ’68.
Pellicola tornata a risplendere sul grande schermo del goriziano Premio Amidei martedì 25 luglio, giornata che l’edizione numero 42 ha dedicato al maestro piacentino, vincitore dell’Opera d’autore 2023.
Così ha deciso il gruppo scientifico capitanato dal direttore Giuseppe Longo e con Roy Menarini, Maria Pia Comand, Simone Venturini e Sara Martin. Bellocchio, che ha incontrato il pubblico del Kinemax nel tardo pomeriggio, ben spalleggiato dal critico cinematografico del “Corriere della Sera” Paolo Mereghetti e da Menarini, docente del Dams, è stato premiato in serata da Stojan Pelko, responsabile del programma Capitale europea della cultura per GO 2025 – e questo fortifica la collaborazione italo-slovena in vista dell’evento atteso in regione fra due anni– a cui è seguito “Rapito”, l’ultimo sigillo filmico del cineasta ottantatreenne che ha stregato il festival di Cannes e il pubblico di casa del cartellone nazionale.
Un triste caso bolognese/romano, quello filmato da Bellocchio, che a metà dell’Ottocento girò il mondo colto da pietà per quel bimbo ebreo strappato alla famiglia da papa Pio IX, reo soltanto di essere stato battezzato di nascosto.
La storia della famiglia Mortara è rimasta a lungo nel mirino di Steven Spielberg, uno che non molla volentieri mentre sta facendo strike. E pareva ormai una faccenda tutta sua.
Ma Bellocchio non si perse d’animo restando in disparte e in silenzio come fanno i grandi strateghi finché l’americano, forse per non aver trovato l’attore giusto per interpretare il piccolo Edgardo, dichiarò malvolentieri la sconfitta, lasciando libero il set alla truppa italiana.
La storia vera è spesso preda delle sue sceneggiature: come sceglie il film che verrà?
«Devo identificare una fascinazione nella vicenda, un qualcosa che mi convinca a sceglierla. Con “Rapito” sono partito dal trauma del bambino e da questa famiglia numerosa, come la mia, in fondo. Anche la conversione cristiana imposta da Papa Pio IX mi stimolò al racconto. Se non vengo rapito anch’io da una seduzione, lascio perdere».
Le va di ricordare Sergio Amidei?
«Certo che mi va. Non abbiamo mai lavorato assieme, ci siamo spesso incrociati a casa del produttore Cristaldi. Amidei ha creato un grande cinema, segnando un’epoca. Un uomo decisamente fuori dagli schemi, molto spiritoso e piuttosto collerico. Una volta s’infuriò con un regista che gli aveva rovinato un’idea. Così almeno lui ne era convinto. In un’altra occasione si ruppe una mano prendendo a cazzotti il muro. I geni, spesso, hanno i loro momenti tormentati».
Dieci anni fa uscì in sala “Bella addormentata”, che lei girò a Cividale e a Udine. Il tema del fine vita, essendo il film ispirato alla vicenda di Eluana, scatenò polemiche soprattutto politiche, ma nel 2017 uscì la legge che fu una specie di vittoria per la lunga battaglia di Beppino Englaro.
«Ecco, io quell’uomo l’ho sempre considerato un eroe per la tenacia che ebbe di non mollare mai. Ciò che allora mi fece infuriare, pace all’anima sua, fu l’atteggiamento di Berlusconi che si schierò per il no con l’ala cattolica solamente per un tornaconto suo personale. Fui davvero felice per l’approvazione della legge, non solo per quel padre meravigliosamente testardo, ma per tutti quelli che, ahimè, si trovano e si troveranno dalla stessa parte».
In America attori e sceneggiatori stanno lottando per far valere alcuni diritti come l’aumento delle royalty pagate se il film sta su una piattaforma e sul pericolo che l’Intelligenza artificiale possa sostituire le persone. Qui in Italia, zero. Che ne pensa, Bellocchio?
«Sicuramente gli americani del cinema hanno sindacati molto più forti dei nostri. E non si fanno certo intimidire. Non posso immaginare ora ciò che potrebbe accadere e mi viene da dire: bisognerà opporsi semmai l’intelligenza artificiale dovesse sfuggire a quella umana».
Pensieri & progetti?
«Se fossi credente ringrazierei il buon Dio per la salute che mi ha dato oltre a una mente lucida. Mi piacerebbe arrivare attivo oltre i cento come il collega portoghese De Oliveira. Continuerò a scrivere come ho sempre fatto. Per adesso non ci sono cose di cui debba vergognarmi».
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