Il caso penna a sfera: i seguaci dei carnefici continuano a insultare Anna Frank
In Olanda è in corso un processo per gli attacchi antiebraici. Sulla casa-museo era stata proiettata la parola “ballpoint”

In Olanda si segue con grande attenzione il processo a un canadese, Robert Wilson, arrestato a luglio con l’accusa di aver proiettato sulla casa-museo di Anna Frank, con un laser, la parola “ballpoint”, penna a sfera.
L’allusione, ripresa dallo stesso Wilson sui social con corredo di insulti antiebraici, è al fatto che sull’originale del diario della ragazzina, uccisa nel campo di concentramento di Bergen Belsen nel marzo 1944, sono presenti alcune scritte stese con la biro, il cui uso si è diffuso in Europa solo dopo la guerra.
L’attacco all’autenticità di una delle più tragiche testimonianze della Shoah dura da decenni ed è legato anche alla complessità del diario e alla sua storia.
Il 2 giugno 1942, per il suo tredicesimo compleanno, la tedesco-olandese Anna Frank ricevette in regalo un quadernino a quadretti dalla copertina rossa, bianca e grigia su cui cominciò a scrivere il proprio diario.
Dopo poche settimane il padre di Anna, Otto, un imprenditore ebreo che all’ascesa di Hitler era fuggito dalla Germania, chiuse la moglie e le due figlie nel retrocasa segreto che aveva costruito, lasciando intendere di essere fuggito all’estero.
Come antidoto all’isolamento, Anna iniziò allora a scrivere un diario, fingendo di rivolgersi ad un’amica inesistente, Kitty, e confidando le paure, i sogni, la freddezza rispetto alla madre e alla sorella, le scoperte anche più intime di una giovane adolescente.
Di questo primo diario sono giunte a noi solo due parti, datate fino all’aprile 1944, mentre manca il periodo tra dicembre 1942 e dicembre 1943.
Nell’aprile 1944, quindi, Anna cominciò a scrivere, probabilmente in parallelo con il primo, un secondo diario, o meglio una versione letteraria del primo, fortunatamente giunta fino a noi: aveva infatti ascoltato alla radio la dichiarazione di un ministro che aveva detto che dopo la guerra sarebbero stati raccolte lettere e diari del conflitto e aveva quindi deciso di iniziare a produrne una sorta di romanzo autobiografico della sua prigionia.
Entrambi i testi terminano nell’agosto 1944, pochi giorni prima che la Gestapo scoprisse l’alloggio segreto e caricasse tutti i suoi otto abitanti (il padre vi aveva accolto dei conoscenti) sui vagoni piombati diretti verso l’Europa centrale.
La segretaria di Otto, che aveva reso possibile ai rifugiati di rimanere nascosti per oltre due anni, riuscì tuttavia a salvare alcune carte, che consegnò nel 1945 ad Otto, l’unico che tornò a casa vivo.
Consapevole del significato umano e storico di quelle pagine, Otto, aiutato da altri, “riscrisse” a macchina i due diari della figlia e diede alle stampe nel 1947 la versione che è circolata per decenni in tutto il mondo, espunta delle parti più personali, senza però dare conto di tale riscrittura. Alcuni particolari filologici non sfuggirono tuttavia agli osservatori, soprattutto a coloro che intendevano, attraverso la denuncia della falsità dei diari di Anna Frank, semplicemente negare l’Olocausto.
Nel 1986, dopo la morte di Otto, l’Istituto olandese al quale il padre di Anna aveva disposto che andassero i diari ne ha pubblicato un’edizione critica complessiva (tradotta in Italia da Einaudi nel 2002), che consente di ricostruire tutti i passaggi di cui sopra.
Quindi, nel 1993 la Fondazione Anne Frank di Basilea ha “fabbricato” un nuovo diario, questa volta rendendone esplicita informazione, affidandone la redazione ad una scrittrice di libri per ragazzi che ha dato vita ad un nuovo testo adatto alle generazioni attuali.
Ma per i diari della ragazzina che visse dai tredici ai quindici anni chiusa in due stanze dietro ad un muro non c’è pace.
Nel 1998 sono saltati fuori altri fogli sparsi del diario, nei quali Anna esprimeva giudizi severi sulla madre, e che Otto avrebbe messo da parte consegnato ad un impiegato al Museo Anna Frank di Amsterdam (dal cui sito ricostruiamo questa vicenda).
Poi, dura da decenni il “mito della penna a sfera”. In una delle tante analisi grafologiche ufficiali alle quali sono stati sottoposte le pagine giunte fino a noi, sono state infatti individuate alcune note stese con una penna a biro, mentre tutti i diari furono scritti con inchiostri di vari colori, matite colorate ecc. Qual è la provenienza? È stata individuata in una tale signora Ockelmann che faceva parte del team che condusse ricerche grafologiche sui diari attorno agli anni 1960 e che vi lasciò all’interno alcuni fogli.
La complessità della fonte storica e la poca chiarezza con cui è stata trattata nel tempo hanno insomma prestato argomenti a chi semplicemente vuole diffondere odio razziale negando, è questo l’obiettivo finale, l’Olocausto.
I seguaci dei carnefici di Anna continuano a perseguitarla anche ottantant’anni dopo la sua uccisione.
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