I due passaporti di Romano Benet: "Sto di qua e di là dall’ex confine"

L’alpinista, compagno di Nives Meroi, è italiano, ma da pochi giorni anche sloveno. L’Austria “chiama” gli altoatesini? «In certi luoghi non ha piú senso creare divisioni»

Identità, quanti delitti si commettono nel tuo nome! Fosse nata in terra di confine invece che a Parigi, madame Roland avrebbe forse detto così. Patria, suolo, sangue sono stati molto spesso usati per creare un’alterità, e di qui un nemico, su cui scaricare tensioni originate da problemi sociali o civili. Cose che parevano giacere sotto la lastra tombale scolpita a Schengen, e che invece di recente si sono risvegliate, nuovi fantasmi che si aggirano per l’Europa.

Un certo scalpore ha suscitato la proposta ventilata dall’Austria di offrire la cittadinanza agli altoatesini. Eppure questa duplicità è contemplata dalla legislazione italiana, già dagli anni ’90, quale tutela per i connazionali all’estero e i loro discendenti. Una facoltà di cui si sono avvalsi in molti: emigrati in Argentina messi in difficoltà dalla crisi o figli di italiani residenti nell’Istria oggi croata.

«Difficile capire i motivi di scandalo, quando parliamo di un provvedimento inclusivo e non esclusivo. Bello sarebbe avere i passaporti di tutti i paesi», commenta Romano Benet, alpinista italiano, bilingue, che ha da poco ottenuto anche la cittadinanza slovena. «Perché una persona che appartiene a un’area di confini e sovrapposizioni deve schierarsi decisamente da una parte, il che significa nove volte su dieci contro un’altra parte? Pensavo che nel ’900 avessimo assunto delle dosi di vaccino abbastanza massicce e dolorose contro questi rischi».

La storia della famiglia Benet, originaria di Fusine, è esemplare delle lacerazioni e dei paradossi di cui è stato oggetto il confine nordorientale.

Dopo la Grande guerra il paese, appartenente alla Carinzia asburgica, diventa italiano, frazione del comune di Rateče/Ratschach (tempestivamente quanto infelicemente ribattezzato Racchia), che i confini del 1947 assegneranno poi alla Jugoslavia, fatta eccezione per Fusine.

«Siccome la casa era a Fusine, ma dall’altra parte c’erano ancora delle proprietà, i miei sono vissuti a lungo in una condizione un po’ sospesa. La cittadinanza italiana l’hanno ottenuta nel ’68 e quella volta c’era l’obbligo dell’opzione unica», racconta Romano.

«Poi le leggi sono cambiate, ma mio padre era morto, mia madre non ci badava. Oggi a me è parso giusto tenere conto delle radici. Essere sloveno è sempre stato una cosa naturale, istintiva; non lo avessi sentito, ci avrebbero pensato gli altri a ricordarmelo, perché a noi di quassù ci hanno sempre considerato slavi. Ci tengo però a sottolineare una cosa: questa non è assolutamente una scelta di schieramento, di parte, semmai l’esatto contrario».

E già, perché sui social le prime accuse sono fioccate presto: “Ah, allora sei contro l’Italia!”. E anche da parte slovena c’è stato chi ha scritto: “Ma se neanche Messner ha chiesto la cittadinanza austriaca!”.

«Per fortuna i commenti favorevoli sono stati molti di più. Tanti hanno capito che io non intendevo “questo e non quello”, ma “questo e quello”. Sono nato e vissuto – bene – in questo paese, ma le mie origini sono slovene, e ho creduto di unire le due cose.

Ho il ricordo nitido di quando passavamo il confine, per andare nel nostro bosco, a Rateče, e c’erano i militari che ci tenevano d’occhio. Io non ragionavo in termini di Italia o Jugoslavia, io sentivo che quella era la mia terra, quella cui appartenevo, anche se la storia l’aveva divisa in modo insensato».

Già cent’anni fa parlando di quella che Romano considera la sua sola vera patria, le Alpi Giulie, Julius Kugy diceva che l’unico modo corretto di porsi era l’appartenenza, e che l’idea del possesso avrebbe fatto danni. Non questa terre sono mie, ma io sono di queste terre.

«Quando la Slovenia è entrata nell’Unione europea, mi sentivo felice: finalmente ci si poteva muovere liberamente. Erano svaniti, anche se io non li avevo mai vissuti, i problemi del “di qua” o “di là”. E invece oggi stiamo tornando indietro: alla frontiera austriaca si devono nuovamente mostrare i documenti, ed è una cosa inattesa e tristissima», conclude Romano.

«Sicché questa mia doppia cittadinanza ha anche il sapore di una piccola testimonianza e vittoria personale: voi potete tirar su di nuovo tutti i confini che volete, io sto bene di qua e di là, con gli uni e con gli altri».

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