Giuseppe Fiorello a Udine con uno spettacolo ispirato a Modugno

In scena al Giovanni da Udine martedì 13 e mercoledí 14. «Oggi non so se esista più quella forte volontà di aprirsi e far decollare il Paese»

UDINE. Mettiamo subito le mani avanti: “Penso che un sogno così…”, che Giuseppe Fiorello porta in giro per l’Italia da alcune stagioni (e che sarà al Giovanni da Udine martedì 13 e mercoledí 14, alle 20.45, il 15 a Gorizia, il 23 e il 24 al Bobbio di Trieste), non è uno spettacolo su Domenico Modugno.

«Anche se Modugno, con le sue canzoni – precisa Beppe Fiorello che le canta su musica eseguita dal vivo da Daniele Bonaviri e Fabrizio Palma – fa da colonna sonora a un racconto che è nato, invece, dal desiderio di agganciare il mio destino, quello di un bambino, io, a quello di un mito, che mio padre, che Modugno lo ricordava anche fisicamente, mi aveva instillato, cantandomi la sue canzoni».

Una sorta, quindi, di viaggio psicoanalitico nella memoria, scritto da lei con Vittorio Moroni e la regia di Giampiero Solari, alla ricerca di che cosa?

«Semplicemente di ritrovare me stesso, dialogare con un passato mai dimenticato e con me stesso per mettere in chiaro cose che non avevo centrato bene: vale a dire il perché faccio questo lavoro».

C’è riuscito?

«Sì, perché il viaggio di questo spettacolo tocca molti momenti e aspetti della vita mia, della mia famiglia, dei posti in cui sono vissuto e cresciuto».

Ad esempio?

«Racconto del petrolchimico di Augusta, che ai miei occhi di bambino era gigantesco come la skyline di New York, e invece è una fabbrica simbolo di progresso, di lavoro e pure di molta distruzione ecologica e umana. Nello spettacolo affronto anche tematiche di tipo sociale, che trovano peraltro riscontro in diverse canzoni di Modugno».

Ma nessuna nostalgia, anzi, perché nello spettacolo c’è anche tanta tanta commedia. È cosí?

«Sì, quella che deriva dalla quotidianità, dalle lunghe tavolate estive, a esempio, quando casa nostra era un specie di calamita che attirava lontani parenti, turisti smarriti, pattuglie dei carabinieri…tutti lì a mangiare a scherzare, in una parola a vivere».

Modugno con il suo “Volare”, le sue braccia spalancate divenne il simbolo di un’Italia che dopo la guerra voleva rinascere. Modugno come un segno di speranza. Oggi c’è questa speranza, c’è un nuovo Modugno?

«La speranza fa parte di noi, ma sperare non è, secondo me, un modus vivendi positivo. Chi spera troppo non sta attraversando un bel periodo e in questo momento in Italia si sta sperando un po’ troppo. Oggi non so se c’è ancora la volontà di allargare le braccia e far volare il paese».

Lei è diventato un attore di successo, sua sorella una scrittrice, Rosario quell’entertainer formidabile che è: una famiglia di artisti?

«Una famiglia normale, è stata la vita a decidere. La spinta artistica forse già c’era. Nel caso di mio fratello sicuramente, nel mio probabilmente perché non ero sicuro di voler fare l’attore, vista la mia timidezza».

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