Giuliana Musso a NY con il suo “My Hero”

Giuliana Musso, vicentina d’origine e udinese d’adozione, Premio della Critica 2005, Premio Cassino Off 2017 e Premio Hystrio 2017 per la drammaturgia, considerata tra le maggiori esponenti del...
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Giuliana Musso, vicentina d’origine e udinese d’adozione, Premio della Critica 2005, Premio Cassino Off 2017 e Premio Hystrio 2017 per la drammaturgia, considerata tra le maggiori esponenti del teatro di narrazione e d’indagine ci ha abituati alle belle notizie. L’ultima in ordine di tempo riguarda la sua ultima creatura:
Mio eroe
, che diventerà
My Hero
al Segal Theatre di New York dopo essere stato selezionato assieme ad altri 3 testi teatrali italiani per rappresentare la nostra drammaturgia in un progetto di scambio e promozione reciproca con gli Usa. «Domani, all’ombra dell’Empire State Building, un attrice americana reciterà un po’ delle parole di queste mie madri italiane», ci anticipa Giuliana Musso. La mia è un’emozione genitoriale. Non so neanche dirvi che brivido, che tenerezza, mi da il solo pensiero» – racconta l’attrice, attualmente in tournée con più di uno spettacolo, (sarà a San Daniele il 7 dicembre per l’Ert, poi al Miela di Trieste e a Monfalcone). «
Mio Eroe
, nelle parole di una delle tre madri, chiama in causa in più punti la politica militare Usa. Concretamente la seconda edizione di Italian Playwrights Project organizzata da Umanism, offre agli autori selezionati (con la Musso, Elisa Casseri, Armando Pirozzi e Fabrizio Sinisi,
ndr
), una traduzione in lingua inglese della propria drammaturgia».


Per una messa in scena del testo che con la traduzione è a disposizione degli attori anglofoni di tutti il mondo, da autrice ha dato anche indicazioni sulla regia?


«Io credo che la messa in scena abbia a che fare con un’assunzione di responsabilità dell’attore difronte a una storia o a un racconto. Non ci deve essere una guerra di dominio tra autore e interprete e regista. Vince sempre l’interprete che con corpo e anima è da solo davanti alla storia e si assume la responsabilità di come la racconta. Se manca quella responsabilità si perde di valore».


Quanta attenzione c’è all’Estero per iniziative che mettono in circolazione la drammaturgia contemporanea?


«Credo che in certi Paesi, questo tipo di lavoro di scrittura che si colloca nel teatro contemporaneo e mette radici in una ricerca d’indagine con argomenti vivi e attuali al limite della cronaca, in Mio Eroe si racconta di eventi accaduti negli ultimi dieci anni, ci sia moltissima attenzione».


Mio Eroe,
sarà all’Elfo di Milano e in molti teatri italiani e altrettanti della nostra regione, ma meno di quanto ci si aspettasse per uno spettacolo acclamato dalla critica e amato dal pubblico che riempie le platee. Perché?


«Lo spettacolo è molto presente nei teatri che fanno scelte basate sui propri gusti e visioni, ma è meno richiesto nei teatri “istituzionali”, quei luoghi dove la programmazione è fatta dagli assessori, figure con responsabilità politica e chi interpreta un “ipotetico” gusto del pubblico. Quanto accade a
Mio Eroe
va letto come fenomeno al di là del mio caso. Noto che negli ultimi anni c’è stata un’omologazione delle stagioni all’intrattenimento. A me piace tutto il teatro. Io nasco dal comico, dal cabaret. E in teatro ci deve essere spazio per tutto».


Se uno spettacolo è di riflessione è meno distribuito?


«Diciamo che c’è sempre meno teatro d’autore e sempre più di solo intrattenimento. Nel 2009 con il mio primo gruppo di teatro comico fummo invitati a
Domenica in
. La mattina della diretta non andammo in onda “perché il vostro teatro è troppo poetico e sofisticato per il pubblico di Rai 1”. Da quell’esperienza in poi abbiamo imparato che la domanda si genera con l’offerta, anche per quanto riguarda il prodotto culturale. Io non demonizzo nessuno, ma i programmatori delle stagioni hanno un’immensa responsabilità nella definizione dei gusti e dei bisogni del pubblico».


Il pubblico seduto in platea è in grado di riconoscere il valore di quello che vede e apprezzare generi diversi?


«Sì, sempre. Riconosce sempre l’emozione che prova. Suddividere il pubblico in “capaci di capire e non”, è un alibi. Quando sei seduto sulla sedia sei un essere umano. Non auguro ai programmatori di avere coraggio ma amore e passione per il proprio lavoro.


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