Giornate del cinema muto, da Pordenone un appello contro le guerre
Memoria e attualità di scena con due film restaurati dall’Imperial War Museum. Le autrici delle partiture: «Sconvolgente vedere Gerusalemme e Gaza com’erano»

Diventa un appello contro le guerre la serata speciale delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, che nel Teatro Verdi, alle 21, unisce memoria e attualità attraverso due film restaurati dall’Imperial War Museum di Londra.
La musica si farà voce, risonanza, coscienza. «Mai come davanti a queste immagini il suono restituisce vita e verità», osserva Toby Haggith, conservatore dell’archivio britannico. «Senza musica le esplosioni restano mute, quasi irreali; con la partitura e gli effetti sonori capiamo che erano armi vere, che uccidevano, annientavano».
Il programma si apre con The German Retreat and Battle of Arras, documentario del 1917 sulla grande offensiva britannica di Pasqua sul fronte occidentale. Le immagini, girate da quattro operatori guidati dal capitano J.C. Faunthorpe, tornano sullo schermo grazie al restauro digitale realizzato con l’Università di Udine.
A dare loro nuova voce è la compositrice inglese Laura Rossi, che ha costruito la partitura (a eseguirla saranno l’Orchestra da Camera di Pordenone e il Coro del Friuli Venezia Giulia diretti da Andrej Goričar) intrecciando canti dei soldati e poesie nate al fronte. «Ho scelto testi scritti da chi ha vissuto la battaglia», racconta. «Molti soldati guardano in macchina come per parlarci. La musica serve a sostenere quella connessione, a ricordarci che erano persone, non solo divise in uniforme».
Per Rossi, che ha scoperto nei filmati la possibile presenza del suo prozio Fred, barelliere a Arras, il lavoro ha avuto anche un valore familiare e affettivo. «Nei miei brani cerco di restituire ragione e verità alle immagini. Sono film difficili, ma la musica costruisce un percorso che ci aiuta a entrare nella storia».
Un soldato registrato all’epoca intona nei titoli di coda: “When this bloody war is over”. Una chiusura che vibra come un presagio di pace mancata.
Nella seconda parte la serata cambia scenario ma non tema. Con Palestine – A Revised Narrative, la musicista libanese Cynthia Zaven e la sound designer Rana Eid ci riportano alla Palestina fra il 1914 e il 1918. Dai settantasette cinegiornali dell’Imperial War Museum Zaven ha ricavato un montaggio di straordinaria intensità. «È stato sconvolgente vedere Gaza e Gerusalemme com’erano allora», spiega. «Molte di quelle strade, quei luoghi, non esistono più. Il mio pianoforte preparato diventa un paesaggio ferito, come la terra che racconta».
Eid aggiunge: «In Occidente si conserva l’immagine, non il suono. Io volevo restituire il suono della Palestina, registrare le voci della vita, anche sotto le macerie»
Entrambe rivendicano un approccio politico e poetico insieme: «La storia non è scritta solo dai vincitori, ma anche dai sopravvissuti», afferma Zaven, discendente di una famiglia che ha vissuto il genocidio armeno. Il loro lavoro, che combina musica contemporanea e testimonianze audio ritrovate a Haifa, è al tempo stesso denuncia e invito all’ascolto. «Il pianoforte diventa un paesaggio sonoro fratturato» spiega ancora la musicista, «e in quella fragilità c’è forse l’unica forma possibile di verità».
Per Toby Haggit questi materiali di guerra si sono inoltre trasformati in “documenti etnografici”, specchi di civiltà cancellate. «Vedere nei film i siti storici poi distrutti negli ultimi conflitti è qualcosa di terribilmente triste» dice.
Così, le Giornate del Cinema Muto fanno della musica il filo che unisce epoche e ferite, l’elemento che restituisce umanità a immagini nate come propaganda. In silenzio, cento anni dopo, quei volti continuano a guardarci. E la musica, più delle parole, continua a chiedere quando finirà questa maledetta guerra. La serata diventa un modo per trasformare l’ascolto in memoria condivisa.
Le partiture, scritte da donne provenienti da paesi e culture diverse, intrecciano le loro voci come un coro universale contro la violenza. E forse è proprio in questa combinazione di suoni, immagini e ferite che il cinema muto ritrova oggi la sua forza più alta: parlare senza parole, per ricordare che la pace ha ancora bisogno di essere ascoltata.
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