Giacomini e l’antidoto del dialogo per uscire dalla Psicodemocrazia

Lo studioso e politico udinese pubblica per Mimesis un saggio su quanto pesa l’irrazionalità. Panebianco: è un filosofo politico che si muove sapientemente oltre la teoria realistica

UDINE. “Psicodemocrazia, quando l’irrazionalità condiziona il discorso pubblico”, è il titolo del libro di Gabriele Giacomini dato alle stampe da Mimesis. Ecco una sintesi della prefazione scritta dal noto politologo Angelo Panebianco.

Le piú fini menti sociologiche tra fine ottocento e primo novecento, da Max Weber a Joseph Schumpeter, lo avevano compreso e ne avevano tratto le conseguenze: il cittadino informato e razionale immaginato dalla teoria democratica classica, colui che fa scelte politiche a ragion veduta, dopo avere considerato e soppesato le diverse alternative, non esiste.
 
Poiché il cittadino-elettore è vittima del suo disinteresse per la cosa pubblica, della sua ignoranza e dei suoi stereotipi, spinto da passioni “calde” anziché da freddi ragionamenti, l’unico modo per salvare il salvabile degli ideali democratici era, per quelle menti, ridefinire in chiave realistica la teoria della democrazia: la democrazia altro non era, né poteva essere, che il luogo del confronto e della competizione fra élites impegnate a disputarsi il voto di elettori su cui il richiamo emozionale fa normalmente piú presa delle proposte e dei ragionamenti programmatici.

Le ricerche empiriche sugli atteggiamenti e i comportamenti degli elettori condotte dai politologi statunitensi a partire dagli anni Venti-Trenta e in seguito anche dai politologi europei diedero nuova linfa, offrirono le indispensabili pezze d’appoggio a quei teorici - da Robert Dahl a Giovanni Sartori, da Raymond Aron a Norberto Bobbio - che scelsero di continuare l’opera dei fondatori della teoria realistica della democrazia.

Ma davvero, una volta accertata la debole razionalità dei cittadini-elettori, non c’è nessuno spazio per interventi che, senza poterli eliminare, siano almeno in grado di arginare o mettere sotto controllo gli aspetti piú irrazionali del funzionamento delle democrazie? Non ne è convinto l’autore di questo brillante lavoro.

Giacomini è un filosofo politico che sa muoversi sapientemente all’interno di vari filoni disciplinari e che qui utilizza al meglio le risorse intellettuali offertegli dalla psicologia sperimentale, dalla scienza politica e dalla teoria normativa della democrazia.

Il suo punto di partenza è il divario fra l’attore tratteggiato dalla teoria della scelta razionale e le persone in carne e ossa cosí come vengono fotografate, nei loro atteggiamenti e comportamenti, dalle ricerche sia di survey sia sperimentali.

L’evidenza empirica deve farci concludere che la democrazia è impossibile e che è necessario sostituirla con la tecnocrazia? Come osserva Giacomini, questa idea va incontro a due obiezioni.

La prima (sostenuta da Bobbio) è che, comunque, la democrazia serve a tutti, anche in assenza del cittadino-elettore informato e razionale, perché consente il ricambio pacifico nei ruoli di governo, consente di impedire o di ostacolare la formazione di oligarchie chiuse e inamovibili.

La seconda obiezione è che la tecnocrazia è una pseudo-soluzione: gli esperti, i tecnici, sono certamente utili, ma è anche accertato che, come tutti gli altri, sono vincolati dalla razionalità limitata.

Giacomini pensa che si possa andare oltre le indicazioni della teoria realistica (o minima) della democrazia. È noto che a essa si è sempre contrapposta la teoria detta dialogica (il cui piú celebre proponente è Jurgen Habermas).

L’idea è che, tramite il dialogo, sia possibile costruire forme di consenso razionale sulle decisioni pubbliche. Con cautela Giacomini sottoscrive l’idea della democrazia dialogica.

Ma la pensa, alla luce delle conoscenze empiriche accumulate, come una democrazia dialogica imperfetta, nella quale si tratta di accrescere un po’ il tasso di razionalità delle decisioni anche sapendo, però, che ciò è possibile solo entro certi limiti.

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