Galli della Loggia e Travaglio: "L’Italia non vuol essere governata"

GORIZIA. I mali dell’Italia, nell’analisi critica affidata sabato a due giornalisti del calibro di Marco Travaglio e Ernesto Galli della Loggia durante uno degli incontri cardine del festival èStoria, a Gorizia, sono molti e alcuni senza soluzione. A dominare su tutto, nei loro ragionamenti, è la politica, con alle spalle un sottofondo tragicomico che lascia più spazio alla stupefazione che alla speranza.
Coordinati dal direttore de Il Piccolo, Enzo D’Antona, i due hanno espresso punti di vista spesso opposti in questo dibattito dal titolo “Serva Italia”, dove si è parlato anche di quello che lega gli italiani fra loro. «Qual è il coagulante della nostra identità?», ha esordito il moderatore.
Per l’editorialista del Corriera della Sera «gli italiani sono mossi da uno sfrenato bisogno di ingiustizia», come ebbe a dire Ennio Flaiano; mentre per Travaglio «il nostro collante nazionale è non avere nessun collante. Di solito due italiani che parlano tra loro non vanno d’accordo su nulla e se hanno un minimo di spirito d’iniziativa fondano un partito.
Una litigiosità testimoniata dal numero di cause civili e dall’altissimo numero di avvocati. Ce ne sono 260 mila nella sola Roma, come nell’intera Francia», ha esordito il direttore de Il fatto quotidiano, che, come altri, pensa che, in fondo, «gli italiani non vogliono essere governati.
Ogni cambiamento si infrange su questo grande bisogno di ingiustizia che ci anima». Della Loggia non è da meno nel demolire alcune caratteristiche del Bel paese, dato che «con 40miliardi di tasse evase, è evidente che la società civile fa schifo».
Primo applauso. Dalla società civile. Si passa poi, nella seconda domanda, alla classe dirigente. Ce la meritiamo? Per Galli della Loggia il discorso è sfumato, sembra sia in atto, da sempre, un circolo vizioso a tutto i livelli. Travaglio ritiene invece che «prima di dire che ce li siamo meritati bisognerebbe sceglierli: dal 2006 a oggi non ci è più capitato. Nemmeno io ho il culto della società civile, ma in democrazia i politici vengono selezionati dalle libere elezioni dalle quali dovrebbero uscire i migliori.
Altrimenti basterebbe sorteggiarli dall’elenco telefonico. Dovremmo pretendere che i politici fossero meglio della media nazionale, non accontentarci che siano come noi».
L’altro ospite ha trovato questo ragionamento “consolante” , ma non corrispondente al vero. In una società dove è diffuso il malcostume, in sintesi, non si vede come si possa eleggere qualcuno che possa garantire il bene comune. La visione del giornalista del Corriere prevede poi che ci sia «una tendenza a delinquere una volta potenti e ciò evidenzia la moralità media del Paese».
D’Antona quindi chiede:«È possibile una democrazia senza partiti?». «No - per Della Loggia – anche se molti sono appendici personali di alcuni capi». Travaglio è piuttosto a favore di alcuni partiti di una volta, comparsi in momenti felici della storia politica italiana. Niente di attuale e nemmeno il Movimento cinque stelle, che «non è un partito». La speranza verso la fine affiora dal giornalista de Il fatto quotidiano che si autodefinisce «né buono, né buonista, ma cattivissimo».
Per intravederla bisogna pensare a un’Italia che vota persone competenti, «sempre che le si trovi sulla scheda elettorale». Dato che non sempre ciò è possibile, ci viene in aiuto la matematica, che impone un dato: «Il numero dei ladri non può essere superiore a quello dei derubati, sennò si fregano da soli». Che sia un male o un bene, decideranno i posteri.
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