Friuli prezioso e dimenticato: ecco le fotografie di Marchetti

Fu un esponente di riferimento per i friulanisti, ma anche uno storico dell’arte L’archivio in rete offrirà ora a tutti i suoi scatti su chiesette votive e statue lignee
Di Melania Lunazzi

Un patrimonio di arte e storia unico nel suo genere. Ma soprattutto l’espressione della ricchezza culturale e dell’identità del territorio friulano, in tutta la sua varietà e specificità geografica, dalla bassa alle vallate alpine e di confine. È l’immane lavoro di documentazione fotografica realizzato settant’anni fa dallo studioso friulano e “libero pensatore” - cosí amava definirsi - don Giuseppe Marchetti (1902-1966), pre Bepo.

Dodicimila immagini di chiesette votive e sculture lignee del Friuli eseguite con passione da detective in vent’anni di lavoro tra il secondo dopoguerra e la fine degli anni Sessanta. È questo il fondo Marchetti, un archivio fotografico custodito dai Civici Musei di Udine, finora conosciuto solo dagli studiosi d’arte e che l’università di Udine, grazie a un contributo della Provincia, ha valorizzato e aperto alla consultazione di tutti, cultori della materia, appassionati e immemori delle patrie bellezze che punteggiano il nostro paesaggio. Un itinerario virtuale che consente un tuffo nel passato, tra edifici votivi, chiese di campagna e altari lignei che in molti casi non esistono più perché distrutti dal terremoto, da alluvioni (Vajont), dall’incuria o dalle ruberie di avidi mercanti.

La piattaforma informatica - il cui indirizzo web è edvara2.uniud.it/Marchetti - è consultabile online per un piccolo assaggio – quaranta esempi per ora –, ma grazie al lavoro di due ricercatrici dell’università, Martina Visintin e Martina Lorenzoni, nel prossimo futuro vedrà il suo paziente e certosino completamento.

Ieri la presentazione a palazzo Caiselli. «È un fondo straordinario - ha detto la professoressa Donata Levi - soprattutto se si pensa al fatto che è pervenuto a noi nella sua integrità. Gli archivi fotografici sono sempre più facilmente esposti alla dispersione o alla distruzione, mentre questo fondo, espressione della poliedricità di Marchetti è una testimonianza della ricchezza del nostro tessuto paesaggistico, che solo dieci anni dopo la morte dello studioso, è stato notevolmente ridotto dalla furia distruttiva del terremoto. È un primo tassello verso un processo di creazione di una rete di fototeche regionali di valore culturale».«Sono felice - così il direttore dei Civici Musei Romano Vecchiet - che i nostri musei possano giovarsi di un lavoro di documentazione digitale scientificamente corretto come questo. Si conosce meglio il Marchetti studioso e autore di libri importanti come “Friuli Uomini e tempi”, ma non il fotografo. Iniziò Giuseppe Bergamini a catalogare questo fondo a sua volta indirizzato da Aldo Rizzi».

«In tanti come studiosi abbiamo consultato queste fotografie - così Giuseppina Perusini direttrice della Scuola di specializzazione in Storia dell’arte - che davano la possibilità di vedere opere che non c’erano più o ricoverate in depositi non più accessibili al pubblico. È un lavoro importante». «Marchetti - così le due studiose Visintin e Lorenzoni che hanno svolto il lavoro di riordino e catalogazione -fu il primo a interessarsi a questo tipo di patrimonio considerato minore dagli storici dell’arte, con grande lungimiranza».

Le immagini sono accompagnate da un link a “street view”, che consente di confrontare il “come era” al “come è oggi”. E così spesso si vedono chiese circondate dal cemento o sommerse dalla vegetazione che le nasconde o sostituite da altro. Ma le immagini restituiscono anche altri dettagli storici, grazie alla presenza di persone del posto, dell’automobile come cui Marchetti si faceva accompagnare nelle perlustrazioni - una seicento bianca - e spesso allargano l’inquadratura a un contesto paesaggistico che conferisce a queste fotografie l’impronta di un passato prezioso.

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