«Freddie Mercury sperava di incontrare la Garbo»

L’assistente della pop star ospite delle Giornate. «Accelerò il lavoro quando seppe di morire»

PORDENONE. Centra qualcosa un signore inglese dal sorriso generoso, tale Peter Freestone - per dodici anni allo stretto fianco di Freddie Mercury - alle Giornate del Muto? Sulle prime ti viene fuori un no, zero. Poi addenti il programma e scopri invece di sì. Ricordate il celeberrimo Metropolis di Fritz Lang? Ecco, nel 1984 il mitologico Giorgio Moroder, in combutta col frontman dei Queen, lavorò al restauro e all’assetto musicale della pellicola del ’27. I due produssero un inedito sound rock applicato al genere antico (tipo una chaise longue abbinata a una ribalta del Settecento, per capirci). Ecco, Peter proprio di questo discuterà al Collegium Dialogue di oggi alle 13.

E grazie a lui riusciamo a curiosare nel dietro le quinte di quell’evento insolito. «Moroder spedì l’invito a Freddie. E lui, incuriosito, accettò. Seppure il gruppo avesse dimostrato una certa predilezione per le colonne sonore di film di fantascienza - leggi Flash Gordon e Highlander - L'ultimo immortale - Mercury preferiva il genere drama, ma pure A qualcuno piace caldo. Adorava il cinematografo ricco di Cecil B.De Mille e avrebbe desiderato tanto incontrare Greta Garbo. La adorava».

La pop star lo scelse, il Freestone, strappandolo al “Royal ballet” dove l’allora ragazzo si guadagnava da vivere come costumista. «Si esibì sul nostro palco - ricorda - si muoveva come un pazzo, al solito. Finì cantando a testa in giù, pazzesco. Ci parlammo a lungo e prima del commiato mi disse: “ci rivedremo presto”. Il classico tram da prendere al volo, ben sapendo che non sarebbe mai più ripassato da lì».

Ne ha di storia da regalare, Peter. È uno generoso, condivide volentieri. Sarà banale, eppure c’intriga capire se di Mercury ce n’erano due: uno da esibizione e uno da salotto di casa sua. «Non lo diresti, eppure era molto timido, Freddie. Se per caso in questo momento entrasse qui e si sedesse accanto a noi, eviterebbe d’intromettersi nel discorso. Ascolterebbe silenzioso. Invece in scena, be’ non sta a me ricordarlo, era incontenibile. In un concerto riusciva a calpestare ogni centimetro di un palcoscenico».La morte. La temeva? «Accettò l’idea di andarsene, quando glielo dissero. Anzi, accelerò la sua produzione musicale. Sapeva di non avere tempo». Chissà, se fosse ancora a calpestare la terra del terzo millennio, che uomo sarebbe? «Forse non canterebbe più. Era uno al massimo, detestava il minimo».

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