Falcone e Borsellino a teatro per il risveglio delle coscienze
L’attore Filippo Dini martedí a Pordenone con il racconto dei due magistrati eroi Il testo è di Claudio Fava vicepresidente Antimafia. «Serve un esercizio di memoria»

Sembra ieri, eppure sono passati 25 anni da quelle tragiche primavera e estate del 1992, quando con la strage di Capaci e quella di via D’Amelio a Palermo venne chiusa nel sangue la stagione di quell’antimafia, capitanata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la sola in tanti decenni di lotta alla malavita organizzata che avrebbe potuto mettere la parola fine a questa disgraziatissima piaga che ha infestato e infesta ancora il nostro bel paese.
Venticinque anni in cui il sacrificio di Falcone e Borsellino ha se non altro risvegliato le coscienze, ha tenuto alta l’attenzione e sviluppato una nuova e più diffusa consapevolezza, attraverso dibattiti, libri, film e spettacoli teatrali.
Tra questi ultimi un posto decisamente di primo piano occupa “Novantadue – Falcone e Borsellino, vent’anni anni dopo”, scritto in occasione della ricorrenza dei due eccidi, da Claudio Fava, giornalista e vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, il cui padre fu assassinato nel 1984 a Catania da Cosa Nostra. Ora questo spettacolo, che si avvale della regia di Marcello Cotugno e di cui sono interpreti Filippo Dini, Giovanni Moschella e Pierluigi Corallo, arriva al teatro Verdi di Pordenone martedì prossimo, 23 maggio, giorno della commemorazione della strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e la scorta.
Una sorta di “moderna tragedia classica” è stata definita questa rappresentazione che non vuole «celebrare queste due illustri vittime di Cosa Nostra e della sua connivenza con settori deviati dello Stato, quanto restituirne la profonda umanità, la grande solitudine di cui alla fine si sono sentiti e sono stati circondati», spiega Filppo Dini, che nello spettacolo è Giovanni Falcone e che il pubblico regionale ricorderà come splendido protagonista di un bellissimo “Ivanov” di Cecov nella scorsa stagione.
«Non per niente, continua l’attore, lo spettacolo si apre sull’ultima notte che i due trascorsero all’Asinara, nel carcere di massima sicurezza dove si ritirarono per preparare l’atto d’accusa del primo maxi processo alla mafia, che costerà loro la vita. E sono momenti di grande empatia, di grande calore umano, tra due amici che si confidano, scherzano anche sulle loro paure o presentimenti. Non volevano essere eroi, ma solo due servitori dello Stato e in quanto tali fare il loro dovere. La mafia, diceva sempre Falcone, è un prodotto dell’essere umano e come tale può essere eliminato dagli esseri umani».
Non un testo di denuncia, quindi, ma qualcosa di più, «perché nello spettacolo – ancora Dini – vengono ricostruiti attraverso i monologhi e i dialoghi dei due personaggi, ma anche un continuo loro interfacciarsi con altri protagonisti di questa intricata vicenda - pentiti, magistrati - gli snodi più importanti, alcuni ancora non del tutto chiariti, come la trattativa Stato-mafia, di un momento epocale della nostra storia più recente».
Un racconto cui il teatro aggiunge il valore profondo di un esercizio della memoria, «di cui – sottolinea Dini – abbiamo estremo bisogno, quasi quanto il mangiare e il respirare, un nutrimento fondamentale per la nostra vita, che può proteggerci dagli errori commessi e diventare medicina per morire un po’ meno».
E ne sono conferma le reazioni sempre molto partecipate, autentiche, degli spettatori che pur assistendo a una vicenda che conoscono benissimo, ridono e piangono come se quello che vedono lo vedessero per la prima volta.
«Il pubblico – conclude Dini –, ride della complicità, tra gli scherzi e le confidenze due amici, colti nella loro umanità e quotidianità e piange perchè la memoria fa riviere in lui qualcosa, l’esempio di due uomini retti puliti e onesti, che dà beneficio; è la catarsi che si risveglia dentro di noi, ci fa riconoscere di nuovo i colpevoli e chi ci ha fatto comunque del bene. E ci aiuta a vivere meglio il giorno dopo».
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