De Gregorio, Irina e la parola come cura

La giornalista e il dialogo con la manager di successo privata per sempre delle figlie dal marito suicida
Di Cristina Savi
PORDENONELEGGE 2015 - CONCITA DE GREGORIO
PORDENONELEGGE 2015 - CONCITA DE GREGORIO

La parola come cura, come potere salvifico. Un libro che ha avviato un cammino di guarigione. Per Irina, che ne è protagonista e per Concita che l'ha scritto, «guarendo da mali che sapevo e non sapevo di avere». Irina di cognome fa Lucidi e ne abbiamo letto tutti, quattro anni fa. Avvocata italiana di successo, un lavoro prestigioso, vive vicino a Losanna, sposata con Mathias, ingegnere svizzero tedesco. Hanno due gemelle di sei anni, Alessia e Livia. Qualcosa non va, il matrimonio finisce, lei sta per divorziare, alla fine di gennaio del 2011 il marito prende con sé le bambine e sparisce.

Dopo cinque giorni di viaggio, attraverso la Francia e la Corsica, arriva a Cerignola in Puglia. Parcheggia l’auto, va in stazione e si lascia travolgere dal treno. Delle due gemelle, bionde, bellissime, non si è saputo piú nulla. Resta solo il suo biglietto: «Le bambine non hanno sofferto, non le vedrai mai piú». Concita De Gregorio, giornalista, scrittrice, conduttrice del programma di RaiTre “Pane quotidiano” questa storia (ma non è la cronaca il centro della narrazione) la racconta in “Mi sa che fuori è primavera”, (Feltrinelli) , libro che la porta sul palco del teatro Verdi di Pordenone con Alberto Garlini. Irina e Concita, un incontro a lungo rinviato, poi quella prima volta che la conversazione è durata cinque ore anziché una, Irina che si piazza una settimana nello studio di Concita, e un dialogo ininterrotto, con episodi della vita dell’una che si mescolano all’altra e che le incatena. E quindi il libro. «Le parole erano la terapia che mancava a Irina». Irina che «aveva bisogno di riparare con l’oro liquido (tecnica giapponese con cui si aggiusta un oggetto di valore rotto e le cicatrici dorate sono un segno orgoglioso di rinascita) del raccontare, dell’ascolto, dell’amore, i pezzi che si erano scomposti dentro di lei».

Un libro che ha l’ha aiutata ad allontanare il dolore e i sensi di colpa scatenati dai pregiudizi di cui è stata vittima, lei, italiana e come minimo madre apprensiva (cosí la liquida la polizia svizzera, la sera che denuncia la scomparsa), colpevole di essere una donna di successo. E di rompere il grande tabú per cui «dopo un dolore cosí grande» non sarebbe mai piú potuta essere felice.

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