Dame, uccellini e cavalieri: il mondo visto dalle Orsoline oltre le mura del convento di Gorizia

I disegni preparatori per i ricami svelano un immaginario irreale
Raffaella Sgubin

GORIZIA. Come immaginava il mondo al di fuori del convento una monaca di clausura in un periodo collocabile tra la fine del Sei e gli inizi del Settecento? Lo possiamo scoprire indagando il corpus di disegni preparatori elaborato dalle Orsoline per il proprio laboratorio di ricami e arazzi che si articola in una serie di filoni differenti, ora conservati con tutti gli arredi, i paramenti e i ricami realizzati dalle Orsoline ai Musei provinciali di Gorizia, in Borgo Castello.

La più gran parte di quei disegni preparatori erano destinati alla confezione di paramenti sacri e arredi liturgici. Vi è però un nucleo molto particolare, forse di mano non eccelsa, ma straordinario come documento di vita quotidiana, vista da una prospettiva aristocratica, milieu da cui provenivano le Orsoline ancora nel Settecento.

I protagonisti sono dame e cavalieri, ma anche contadini, pastori, pescatori e giardinieri. Le situazioni in cui sono rappresentati sono generalmente idilliache e quasi certamente filtrate attraverso fonti letterarie. Le Orsoline, infatti, erano donne colte, votate all’insegnamento.

Il mondo rappresentato è poco realistico, in parte perché la prospettiva e le proporzioni dei vari soggetti sono piuttosto approssimativi, in parte perché prevalgono situazioni fiabesche. In genere i personaggi compaiono all’interno di una cornice lussureggiante, ricca di fiori, foglie e uccelli: sono gentiluomini dalla fluente capigliatura e gentildonne elegantemente abbigliate, che in qualche caso portano curiosamente legato alla cintura uno scoiattolo o tengono in braccio un cagnolino.

Siamo in piena età barocca e gli uomini si fregiano di lunghe chiome ricciolute, verosimilmente ma non necessariamente parrucche, secondo una moda lanciata dalla Francia del Re Sole.

I capi principali sono calzoni al ginocchio e marsina con ampi paramani alle maniche, cinta in vita da una fusciacca. Particolare elegante è lo jabot al collo, oppure la cravatta di merletto annodata a fiocco. Accessorio indispensabile per il gentiluomo è la spada al fianco, o quantomeno un bastone da passeggio.

Anche le dame portano le pettinature voluminose proprie del periodo. Caratteristico è l’abbigliamento stratificato, con una sopravveste, o “mantò” (dal francese manteau), che si apre su di una gonna detta “sottanino”. Il punto vita è accentuato e appuntito; dalle maniche, corte al gomito, escono sottomaniche di lunghezza digradante in tela finissima.

Vengono riprodotti i divertimenti “in villa” di un’aristocrazia spensierata, a cominciare dall’arrivo in carrozza di un cavaliere atteso da due dame affacciate alla finestra. Dame e cavalieri sono ritratti in conversazioni galanti, ma castissime, in un paesaggio campestre sul cui sfondo si trova un palazzo di stile nordico.

Non può mancare la caccia, divertimento nobiliare per eccellenza che ritorna in diversi cartoni, a volte come episodio di contorno, in un caso addirittura come soggetto principale. Al centro di un disegno vi è infatti un uccello dal lungo collo e dalle zampe palmate, forse un cigno, raggiunto da una scarica di pallini.

Il cane abbaia ad una bambina con grembiule, cappellino e borsa ornata da un fiore, chissà, forse un ricordo d’infanzia dell’autrice. Sullo sfondo, un palazzo dall’architettura decisamente nordeuropea.

La scena venatoria non turba la natura circostante, prospera e benigna, né le lepri intente a nutrirsi in un cespo di erbe e di fiori. In un altro disegno la scena della caccia si intreccia al motivo arcadico della “pastorella” perché un cacciatore che conduce i suoi cani all’inseguimento di un cervo e due lepri viene distratto da una pastora che, scalza, fa pascolare le sue pecore in un paesaggio costellato da rigogliosi alberi da frutto quali meli, ciliegi e melograni.

Altro passatempo elegante è quello della musica, documentato da disegni in cui le dame suonano il violino o anche l’organo. Curiosa è la figura della scimmietta vestita che suona la cornamusa, secondo il genere pittorico delle “Singeries” lanciato da David Teniers il Giovane nel Seicento e praticato anche nel Settecento da vari pittori tra cui Chardin. Si tratta di un genere in cui le scimmie venivano raffigurate in azioni quotidiane tipicamente umane, che riscosse grande favore in Europa.

Nei cartoni si trovano documentate le mode del momento, che diventano indicatori di status privilegiato come il caffè, bevanda di lusso il cui bricco troneggia sul tavolo davanti ad una dama nella scena del concerto d’organo.

Altrettanto di pregio è l’alberello di limoni che un giardiniere trasporta in un mastello di legno in una bella scena bucolica, vero idillio campestre.

La moda di collezionare limoni e aranci nei palazzi nobiliari di tutta Europa era nata nel XVI secolo e conobbe un grande sviluppo tra il Seicento e il Settecento portando alla costruzione di serre stabili nei paesi nordici dove gli alberelli venivano piantati in grandi vasi per poter essere trasferiti in inverno negli edifici a loro destinati.

In questa serie di cartoni di soggetto campestre non mancano le scene ambientate in una natura produttiva.

Un’elegante dama in rosa, con tricorno e bastone da passeggio, ispeziona una vigna colma di grappoli di uva bianca. Non possono mancare neanche i lavoratori della campagna, contadini che raccolgono la frutta, che potano gli alberi, che mungono la mucca.

In uno dei cartoni più densi di scene compare anche la pesca: due uomini gettano le reti in un corso d’acqua ricco di pesci tra cui si riconoscono carpe, pesce gatto e un insolito pesce spada. In basso, in primo piano, però c’è anche una barchetta da cui cade un uomo mentre una dama ed un cavaliere rimasti a bordo si scambiano sguardi complici.

È difficile capire a che cosa fossero destinati questi disegni così marcatamente profani: certo non arredi liturgici, anche se singoli motivi decorativi come piante e alberi da frutto possono essere identificati negli arazzi dei cosiddetti “arredi del Giovedì Santo” e in un paliotto ricamato dedicato alla Vergine, Sant’Orsola e Sant’Agostino.

Si tratta verosimilmente di cartoni preparatori per pannelli di arredo domestico: arazzi, cuscini, copritavolo, schienali di canapè, testiere di letto e altro ancora.

E comunque l’insieme di questi disegni è la rappresentazione di un mondo cortese dove i vari ordini vivono in dolce armonia, un mondo sognato e ricordato con un pizzico di nostalgia da una monaca di clausura che con la sua creatività ha ricreato quel mondo di fuori da cui era ormai esclusa.

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto