Dai mosaici gnostici di Aquileia la rilettura del Cristianesimo

Uno studio di Claudia Giordani rilancia la tesi della concezione cosmologica Nei disegni emerge il collegamento con i testi scoperti a Nag Hammadi 

Non molti, se non nella sua Aquileia, ricordano Renato Iacumin, nato all’ombra del campanile poponiano. Scomparso nel 2012, Iacumin era un uomo schivo, timido, ma dietro gli occhiali spessi celava un sorriso aperto e una volontà di ferro. Suo padre, funzionario al Museo archeologico, ogni tanto faceva la guida alla basilica e lui, bambino, lo accompagnava. Nella selva dei simboli, di animali, di fregi, c’erano quei cerchi così strani. “Ma tata, sun stelis! ” (Ma papà sono stelle!), diceva in friulano, e il padre lo zittiva: “Cui ch’al non sa ch’al tasi”.

Questo ricordo di Renato Iacumin è tratto da uno scritto dedicatogli da Antonio Devetag. Ed era proprio così il professore che arrivava in punta di piedi da Aquileia per tenere le sue conferenze, in totale e affascinante sintonia con quelle di don Gilberto Pressacco. Il pubblico si inoltrava in un mondo antico tra miti e suggestioni, che rappresentavano una sorta di linguaggio figurato: talvolta trasmettevano messaggi immediatamente percepibili, altre presupponevano conoscenze più profonde ed erano destinati a una élite colta. Resta il fatto che per molti studiosi ancora oggi quei mosaici straordinari, unici, rimangono un fatto puramente decorativo. Invece non è così.

Nel caso di Iacumin, tutto era cominciato, come in una sorta di predestinazione, il giorno in cui si accorse (pur vivendo in un luogo periferico come Aquileia, ma avendo a disposizione, a due passi da casa, un tesoro unico quale appunto è la basilica) d’un fatto, e cioè che tra i tredici testi gnostici scoperti nel 1946 a Nag Hammadi, località egiziana sulla riva del Nilo, ce n’erano tre in cui si narra di Gesù che ritorna sulla terra dopo la Resurrezione per spiegare ai discepoli le verità del Cosmo. E quel racconto, notò il professore aquileiese, si sovrapponeva perfettamente alla concezione cosmologica espressa figurativamente nei mosaici più antichi di Aquileia. Era così giunto al cuore, al luogo cardine e centrale, dello gnosticismo, ovvero il sistema religioso-filosofico che si reggeva su una concezione insormontabilmente diversa rispetto al Cristianesimo, per il quale la salvezza è alla portata di tutta l’umanità, mentre la gnosi proponeva un’interpretazione esoterica rivolgendosi a soli iniziati, i quali dovevano apprendere la verità anche attraverso l’approccio a una cosmogonia simbolica, usata come un vero e proprio linguaggio visivo. Il pavimento musivo di Aquileia celava quindi, secondo Iacumin, un complesso, ma preciso percorso iniziatico verso la conoscenza, accessibile soltanto a chi aveva appreso quel linguaggio. Dopo anni di intensi studi, individuata la chiave cosmogonica alla base della raffigurazione, Iacumin capì che la sua costruzione teorica si adattava perfettamente all’interpretazione dei mosaici. E la spiegò nel libro “Le porte della salvezza”, pubblicato dall’editore Gaspari di Udine nel 2000, dedicandolo a don Pressacco.

Ora, vent’anni dopo, Gaspari propone un nuovo affascinante viaggio in tale mondo che collega il Friuli alle sponde egiziane di Alessandria e a vicende risalenti al II e III secolo. Esce oggi un libro intitolato Il Cristianesimo egiziano di Aquileia ed è scritto dalla dottoressa Claudia Giordani, che dichiara così il suo intento: «Questo nuovo studio mira a rompere un ingiusto silenzio e a restituire il dovuto peso a un’ipotesi colpevolmente sottovalutata e abbandonata ancor prima di essere oggetto di indagini scientificamente probanti».

Claudia Giordani si riferisce a parole dette e scritte dal professor Luigi Moraldi, celebre studioso che per primo nel 1982 tradusse in italiano dal copto il “Pistis Sophia” e che riconobbe poi a Iacumin il merito di aver scoperto nei mosaici la rappresentazione iconografica del vangelo gnostico. A tanti anni da allora, aggiunge l’autrice, nessuno studioso ha però approfondito ipotesi che, se confermate, porterebbero a una decisa rilettura della storia riguardante la diffusione del Cristianesimo nell’Alto Adriatico e le origini della Chiesa aquileiese. Ma perché non si diede seguito alle parole di Moraldi? Secondo la Giordani, «la responsabilità principale è da ricercarsi nella decisa bocciatura pronunciata all’epoca dall’insigne archeologa Luisa Bertacchi. E ancora oggi – aggiunge – l’accademia tace».

Il nuovo libro vuole dunque vincere l’apartheid (parola usata dalla stessa autrice) in cui vennero confinate le teorie sviluppate da Iacumin trent’anni fa. Affermare che i mosaici sono il racconto iconografico di dottrine gnostiche implica, come intuibile, una revisione profonda di ciò che fu la primitiva fede cristiana. Ora c’è il libro che narra come si può ricominciare. Sempre da Aquileia. —


 

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