Con Giulio Squarci la battaglia carnica per il bene “acqua” «È la nostra essenza»



Il documentario di Giulio Squarci “I custodi dell’acqua, La Carnia si ribella” approderà oggi, venerdì 19, alle 21 alla Rassegna del Film e dei Protagonisti della Montagna online di Saf e Dlf. Si potrà vedere solo in diretta sui canale Youtube e Facebook e sul sito della Società Alpina Friulana alla sezione Live. Alla proiezione seguirà l’incontro con il regista.

Nato a Gemona nel 1982, Squarci è regista e realizzatore di servizi giornalistici, reportage, spot e documentari. I Custodi dell’acqua vince nel 2016 due premi Internazionali come Miglior Film di “Antropologia Ambientale” al Cin’Eco Film Festival in Portogallo e di “Acqua Bene di Tutti” al Festival italiano Un Film per la Pace.

Da giornalista ad antropologo: cosa l’ha spinto a girare il film?

«Nel 2009 lavoravo in una redazione per un’emittente locale. Accadde che un mio conoscente, un anziano sempre solare che un tempo si era occupato della costruzione dell’acquedotto, mi confessò incupito dalla vergogna di non essere in grado di pagare una spropositata bolletta dell’acqua. Facevo informazione e non conoscevo le preoccupazioni reali della mia comunità. Mi sono indignato, come potevamo ripagare in tal modo una generazione di grandi lavoratori, i nostri nonni, persone di una dignità straordinaria; così ho deciso di raccontare le loro storie».

Nel film le narratrici sono però due donne, come mai?

«I protagonisti del dibattito, la privatizzazione della gestione del servizio idrico, sono stati principalmente donne e anziani, che si occupano generalmente dell’economia della famiglia. Una narratrice è Ira, guardia forestale di Forni di Sotto, figura cardine per la montagna e per la comunità; l’altra è l’allora ottantaseienne Maria, la persona più lungimirante che io conosca. Con voce e occhi pieni di sentimento e rispetto per la vita mi rimproverava “L’aga e je dut! ”, l’acqua è preziosa, è l’essenza delle nostre esistenze».

L’acqua come bene comune resta un tema attuale controverso, ma il film non si schiera politicamente.

«Il mio intento era fare memoria e ritenevo fondamentale l’approccio antropologico proprio per dare una visione sociale, umana a una questione spesso meramente ridotta alla politica. Ho utilizzato il linguaggio dell’informazione e l’ho messo a confronto con quello silenzioso, poetico della fotografia. Quest’esperienza mi ha trascinato in una vicenda enorme, un passaggio storico e politico in cui le comunità montane hanno dimostrato di esistere e di resistere con una tenacia, una grinta vive e autentiche». —



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