Con Federica Manzon un viaggio rivelatorio nelle selve della Bosnia

Al concetto dei confini è dedicata l’ultima prova d’autore di Federica Manzon, ieri a Pordenonelegge per presentare, insieme ad Antonio Moresco e Antonio Riccardi, “Il bosco del confine” (Aboca), storia di un viaggio rivelatorio attraverso le selve in Bosnia, dove si fa strada un nuovo senso di appartenenza. «Il romanzo prende spunto da un elemento biografico, legato all’abitudine di camminare fin da piccola nel bosco dove, come la protagonista del libro, ci si trova a superare confini invisibili, ci si saluta con la lingua dell’altro e dove, ho imparato la dimensione di stare nel silenzio e con sé stessi».
A questo, si è aggiunta l’esperienza del confine. «Hai mai visto una betulla ritrarre i rami per non sconfinare in territorio straniero?» spiega il padre alla figlia in un momento del romanzo che porta a una riflessione sul concetto di appartenenza.
«Sono nata a Pordenone e non a Trieste, però capita a volte, che riconosciamo come luogo di appartenenza quello con cui in realtà, non abbiamo legami di sangue o ragioni autobiografiche che ci tengono uniti ma, forse anche per questo, il senso di appartenenza è più forte. Così chiedendomi quale fosse la ragione di questo sentire, ho individuato la mia attenzione per questa soglia, l’attrazione verso qualcosa di diversamente altro. Questo confine oggi, non esiste più. Tuttavia, è quanto mai importante riflettere su di esso, in un momento in cui l’Europa guarda a Est e per capire dove stiamo andando».
Il confine, prosegue la scrittrice profondamente innamorata di Trieste, è un concetto complesso: «Un confine è un luogo poroso in cui le persone si mescolano, dove storicamente sono sempre accadute cose importanti. Non è un limite. Credo sia un luogo per pensare a identità non chiuse, mai monolitiche. Mantiene le proprie alterità, diversità e le singole componenti importanti nel mondo globalizzato».
Dall’attaccamento per quei luoghi è nato l’incontro con le persone, con quanti hanno combattuto nei Balcani e condividono il legame e un attaccamento per Sarajevo. Un’area geografica che si apre dopo Trieste di cui ci sfuggono molti aspetti: storici, sociali e umani.
«Sarajevo e Trieste sono due città che per certi aspetti si assomigliano, difficili da collocare in una mappa, hanno storie complesse, sono bacini di multiculturalismi, ma possono diventare le culle dei peggiori odi. I Balcani rappresentano un mondo che l’Occidente ha sempre conosciuto poco. In particolare, raccontare di Sarajevo è stato difficile, è servito del tempo: c’è sempre la paura di perdere la sua storia e il suo livello di complessità». –
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