Comisso, Pasolini, Gadda, Saba: una serie di fulminanti ritratti firmati da Nico Naldini

Albert Camus in una lettera a Nicola Chiaromonte, scriveva che “se non posso arrivare a dire molto semplicemente le cose che so, che sappiamo, essere evidenti e vere, tutto il resto è inutile”. Immediatezza, semplicità ed evidenza sono ciò che caratterizza la scrittura di Nico Naldini - poeta, saggista, scrittore che ha attraversato il Novecento - e si ritrovano in questo libro appena pubblicato, “Quando il tempo s’ingorga. Racconti biografici e autobiografici” (Ronzani editore, 224 pagine, 20 euro) per l’amorevole cura di Francesco Zambon, filologo e studioso di fama internazionale, che ha qui riunito una serie di brevi racconti, ritratti, ricordi, pagine di diario, riflessioni su temi di attualità, usciti tra il 2004 e il 2016 nella rivista “L’immaginazione”, a parte tre pezzi più antichi, di cui uno, San Vito e la Bellezza, del 1947.
le Quattro sezioni
Il libro è diviso in quattro sezioni. La prima, “Secondo alfabeto degli amici”, in continuità col precedente “Alfabeto degli amici” (Àncora del Mediterraneo, 2004), è una galleria di ritratti fulminanti, aneddoti rivelatori, scorci sorprendenti riguardanti amici famosi o meno noti: ricompaiono in nuova luce, con diverse sfaccettature, Comisso, Pasolini, Gadda, Saba e altri. La seconda parte, “Passioni”, ancora, sono diari o raccontini nati durante i lunghi soggiorni sulla costa nordafricana, in Tunisia, che è stata il buen retiro di Naldini per molti anni. La terza parte, “Morire, quando?”, presenta una serie di riflessioni di carattere morale o sociale o di attualità: l’omosessualità, la pedofilia, l’impostura, la televisione e anche argomenti più intimi, come le lacrime. La quarta e ultima sezione, “Quadri friulani”, è dedicata al Friuli e alla sua gente: forse la parte in cui il ricordo si fa più struggente, di fronte alla cancellazione del mondo rurale.
Lo scorrere della vita
Trasversale e onnipresente, il tema del tempo, che come un’alluvione, trascina via tutto. Innanzitutto il tempo della vita del narratore, che ha raggiunto i 90 anni: se turbamenti e apprensioni si affollano, in modi talora ossessivi, se i ricordi risvegliano fantasmi inaspettati, a volte importuni, prerogativa della vecchiaia, dice Naldini, è rivolgere uno sguardo a uomini e cose che li rende traslucidi, raggiungendo una parvenza di ordine tra le cose: «Il tempo porta via tutto e i suoi relitti sono come giocattoli che emergono dopo un’alluvione. Il resto è stato portato via lasciando solo una traccia di racconti inventati, maldicenze, rancori e vendette».
Il tempo personale si intreccia col tempo storico. Leggendo i ricordi di Naldini ci si chiede quanto sia lontano il Novecento: passato prossimo o remoto? Si avverte un senso di vuoto. Naldini non si perita di riempirlo, ma diventa biografo, non solo di se stesso ma anche di altri, scrupoloso archivista, sorta di monaco medievale chiuso nella sua cella, mentre fuori la barbarie avanza. Ricordare è un’arte, ma se lo sguardo affonda nel passato, «ogni tanto se ne distoglie per considerare il presente con ilare, severa, anarchica autorevolezza».
Il desiderio
E poi, l’intermittenza del desiderio: «Infinite volte mi sono ubriacato in attesa di qualcuno che non arrivava. I motori delle motociclette si fondevano in un unico delirio. Poi il campanello suonava, fuori tempo e fuori della vita perché il tempo dell’attesa aveva distrutto ogni felicità». Un tempo dettato dall’eros: un eros che non ama le “profondità”, ingannevole perché si gioca sullo scintillio delle superfici, sulla seduzione dei corpi, sul miraggio del sesso: tutto è inaspettato, fuggevole, molteplice. Non c’è spazio per le complicazioni romantiche. L’attenzione è rivolta ai particolari apparentemente più insignificanti e abituali, ai piccoli gesti che svelano come in un lampo verità definitive, manifestazioni minime e quasi invisibili di una bellezza fragile ma miracolosa.
L’amicizia
E infine, un tempo attraversato dall’amicizia e dalla poesia. È la morte, annota Naldini, che con il suo montaggio a rovescio, rivela in pieno gli amici, insieme alle loro tracce rimaste a lungo segrete. Per Marcel Proust, l’amicizia è una bugia che cerca di farci credere di non essere irrimediabilmente soli. E Samuel Beckett rilanciava: “l’amicizia è un espediente sociale, come la tappezzeria e la distribuzione dei bidoni per i rifiuti… Resta la solitudine di cui l’arte è l’apoteosi.” Resta la poesia, appunto, inane tentativo di arrestare la frana del tempo. —
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