Chiara Bardelli Nonino cura una mostra tra foto e Ai: «Siamo ciò che vediamo»

In esposizione 137 fotografie di 77 autori italiani e internazionali. Appuntamento al Museo di Fotografia Contemporanea di Milano-Cinisello Balsamo fino al 31 agosto.

Marina Grasso
Chiara Bardelli Nonino cura una mostra al Mufoco di Milano
Chiara Bardelli Nonino cura una mostra al Mufoco di Milano

“Animati. God, Human, Animal, Machine” è il titolo della nuova mostra curata dalla friulana Chiara Bardelli Nonino al Mufoco – Museo di Fotografia Contemporanea di Milano-Cinisello Balsamo, visitabile fino al 31 agosto. E firma così, per la prima volta in Italia, la prima mostra in un museo pubblico in cui la computer vision dell’intelligenza artificiale viene applicata alla lettura di un archivio fotografico, il più importante e l’unico interamente dedicato alla fotografia nel Paese.

Il progetto nasce da un’idea della curatrice indipendente in collaborazione con Emanuele Amighetti (art director) e Giacomo Mercuriali (artista visivo), ed esplora una forma di curatela “aumentata”: l’AI non è solo uno strumento, ma diventa un vero collaboratore nell’interpretazione delle immagini. In mostra 137 fotografie di 77 autori italiani e internazionali – tra cui Gabriele Basilico, Lisetta Carmi, Mimmo e Francesco Jodice, Günter Brus, Bernard Plossu – selezionate attraverso un processo in due fasi: una scrematura algoritmica e poi una sistematizzazione umana. Per favorire un terzo processo, a discrezione di ciascun visitatore: l’allenamento alla propria alfabetizzazione visuale.

Chiara Bardelli Nonino: cosa trovano i visitatori della mostra “Animati”?

«Trovano il risultato di un lavoro che parte da una selezione automatica di immagini fatta da un sistema AI e prosegue con una scelta curatoriale umana. L’allestimento richiama il modo in cui oggi siamo abituati a vedere le immagini – spesso senza contesto, scrollando sui social – ma qui le fotografie sono opere vere, e il significato lo costruisce il visitatore attraverso il proprio sguardo».

Proviamo a semplificare ed esemplificare?

«Abbiamo usato un modello di computer vision open source creato da OpenAI come primo filtro curatoriale per esplorare le immagini digitalizzate dell’archivio del Mufoco attraverso parole chiave come corpo, famiglia, conflitto, ad esempio. Le immagini in mostra sono quelle che hanno mostrato una maggior affinità o una contraddizione con la parola chiave: il pubblico può leggere tutte le parole usate per la ricerca, ma senza sapere a quale immagine corrispondano. L’obiettivo è spingere i visitatori a riflettere su come guardano le immagini, soprattutto quelle che parlano di persone. In un mondo pieno di contenuti selezionati da algoritmi, qui si chiede allo spettatore di rallentare, osservare e interrogarsi su ciò che vede».

Com’è nato questo progetto espositivo ?

«Mi interessa molto il modo in cui le nuove tecnologie modificano la nostra immagine del mondo, e le nostre immagini del mondo. L’idea di “Animati” si basa su due esperienze: la mostra Uncanny Atlas del PhotoVogue Festival 2023, in cui esploravo l’impatto dell’AI sul realismo fotografico, e un visual essay di Trevor Paglen per Harper’s Bazaar Italia – curato insieme a Emanuele Amighetti. Paglen nel suo saggio racconta di un mondo in cui le immagini sono diventate strumenti di controllo e contribuiscono a ridisegnare i confini del reale plasmando la nostra idea di realtà, parla di una quotidianità che si smaterializza, monetizzata in tempo reale».

Le macchine ci offrono già la loro visione del mondo?

«Sì, e la viviamo ogni giorno: dagli algoritmi che decidono quali foto vediamo sui social o sulle app di dating, al riconoscimento facciale usato per la sorveglianza o in ambito militare. Siamo già immersi in una “visione algoritmica” della realtà, e capirne i meccanismi è fondamentale per interpretare il presente».

Quindi “Animati” è anche un invito a guardare in modo più consapevole?

«Proprio così. Mi ha molto colpito il modo in cui per esempio l’alt right globale abbia abbracciato e stia utilizzando in modo massiccio le immagini fotorealistiche per la propria propaganda, alimentando paure, pregiudizi, notizie false. Imporsi di non essere superficiali quando si interpreta un’immagine è essenziale. Esattamente. Un’immagine può influenzare profondamente ciò che pensiamo». 

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