Camanni: la mia idea di montagna vive del mito di Giusto Gervasutti

Lo scrittore e arrampicatore all’auditorium Menossi in dialogo con Linda Cottino «Lui era avanti: la sua scalata all’Est delle Grandes Jorasses resta insuperata»

Alessandra Beltrame

Enrico Camanni è il più grande scrittore italiano di montagna. Giornalista, editore, curatore di libri, filmmaker, autore di saggi e romanzi, Camanni incontrerà il pubblico venerdì sera, 22 febbraio all’auditorium Menossi di Udine (inizio alle 21) ospite della Società Alpina Friulana, per parlare di “Montagna: futuro presente”. Con lui dialogherà Linda Cottino, giornalista e alpinista, collaboratrice della rivista Montagne 360° del Club Alpino Italiano.

Camanni, lei nasce alpinista, poi diventa giornalista e scrittore. La sua è una montagna vissuta che poi diventa narrata.

«Quando ero ragazzo avevo due idee in testa: scrivere e arrampicare. Da Torino vedevo le vette e ci volevo salire. Non so perché: in famiglia non c’era nessuno che mi spingeva a farlo. Così ho cominciato a scalarla, la montagna, oltre che a raccontarla».

Comincia come cronista, fonda il mensile Alp, dirige la rivista internazionale L’Alpe, pubblica decine di libri.

«Negli anni Settanta c’era un movimento di rottura: figure nuove, come Gobetti, Gogna, Messner stavano cambiando il modo di raccontare l’alpinismo. Nuovi valori e idee emergevano, però restavano circoscritte. Il mio obiettivo era allargare la platea, rivolgermi anche a chi non conosceva la montagna».

Ha contribuito a far emergere figure luminose dell’alpinismo, come Giusto Gervasutti, friulano di Cervignano, al quale è intitolata la Scuola nazionale del Cai Torino, e che racconta in Il desiderio di infinito (Laterza, 2017).

«Gervasutti è stato un mio mito di gioventù. Era avanti a tutti. La sua scalata alla Est delle Grandes Jorasses resta un capolavoro. Ho seguito le sue tracce, ho scalato le sue vie (lo racconta in Mal di montagna, Vivalda) ho cercato la sua storia perché nessuno lo aveva fatto. Non è stato facile, era un mito senza corpo, per così dire: un uomo riservatissimo, pochi lo conoscevano davvero. Per questo affascina».

Guido Rossa. Tutti ricordiamo l’operaio, il sindacalista ucciso dalle Brigate Rosse 40 anni fa, nel 1979. Pochi sanno dell’alpinista e delle sue idee, come lei narra nel magnifico Alpi ribelli e in Verso un nuovo mattino.

«Rossa ha lasciato parole indelebili sulla solidarietà, la giustizia sociale. È stato un fuoriclasse in montagna, ma ancora di più nella vita. Mi era più vicino anagraficamente, perciò è stato più facile ricostruire la sua parabola».

Qual è la montagna di Enrico Camanni? Come luogo, ma anche come ideale.

«Il Cervino era il mio mito. Però il massiccio del Gran Paradiso è stato il luogo del cuore, perché è vasto, selvaggio, e io ho sempre cercato e amato l’avventura. Vorrei che la montagna fosse vissuta, abitata. Non sfruttata. La politica dovrebbe aiutare chi la protegge, non chi ne abusa. Invece si sta facendo il contrario. Oggi abbiamo le tecnologie per distruggerla: se continuiamo così, ci riusciremo. La Convenzione delle Alpi, sottoscritta più di vent’anni fa, diceva già quello di cui le terre alte hanno bisogno. Basterebbe rispettarla». —





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