Cacciari: «Un’Europa divisa sarà sottomessa come l’Italia dell’Umanesimo»

Il filosofo e Asor Rosa in una riflessione tra passato e attualità. La lezione dei “barbari” e i rischi attuali della frammentazione

Due studiosi, due grandi personalità della cultura italiana – Massimo Cacciari e Alberto Asor Rosa – un teatro (il Verdi) che si ferma, in religioso silenzio, cercando di cogliere, in quel confronto alto, spunti che illuminino la nostra epoca, nella consapevolezza che il nostro Paese «vive costantemente in bilico fra grandezza del pensiero e della cultura e catastrofi della Storia».

Nella seconda giornata di festival, Pordenonelegge scende in campo con uno degli incontri di grande spessore inseriti nel filone della saggistica e nell’intreccio della scrittura con la storia, la scienza e la filosofia e comincia appunto dal dialogo fra Asor Rosa e Cacciari intorno a Machiavelli e all’Umanesimo come prefigurazione del nostro destino. Una dotta chiacchierata che nasce dagli ultimi libri pubblicati dai due ospiti: per Asor Rosa “Machiavelli e l’Italia.

Resoconto di una disfatta”, in cui la leggendaria figura di Machiavelli, – pensatore, teorico, interprete profondo e appassionato degli avvenimenti politici e statuali del suo tempo – viene ricollocata nella sua dimensione più umana e nel moltiplicarsi senza fine delle sue vocazioni e per Cacciari “La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo”.

Sarà tuttavia necessario attendere la conclusione della serata – e grazie alle sollecitazioni del direttore artistico del festival, Gian Mario Villata – per qualche riferimento, nel confronto, un po’ più esplicito all’attualità . «Nel periodo dell’Umanesimo – così Cacciari – l’Italia possedeva grande cultura, ma mancava lo Stato, gli italiani non riuscivano a dare vita a uno Stato, cosa che invece accadeva altrove, in Europa, dove si formavano Stati forti, per cui Machiavelli esorta gli italiani a fare lo Stato in qualsiasi forma.

Nell’attuale situazione di staterelli europei o si crea una dimensione in grado ci competere con gli imperi o questi staterelli diventeranno provincia degli imperi, cosi come l’Italia è stata per secoli. E chissà se è finita», chiosa il filosofo veneziano, scatenando l’applauso. Recentemente, a proposito del suo saggio, Cacciari aveva dichiarato che «gli umanisti vissero un periodo analogo al nostro: grandi crisi, enormi dubbi, estrema incertezza, se non angoscia.

La differenza è che noi non abbiamo ancora una rappresentazione realistica e disincantata del momento che viviamo. Non abbiamo coscienza della tragicità contemporanea e ci manca un’ipotesi su come uscirne. Siamo privi di qualsiasi progetto».

Dall’Italia che annaspa e dall’Europa che fatica a formarsi realmente alla nozione di barbari e barbarie, ricorrente nel dibattito intellettuale degli ultimi anni. In questo caso è Asor Rosa a prendere la parola. «La nozione di barbari è problematica, Machiavelli e tutti gli intellettuali italiani del ‘400 e ‘500 considerano ancora barbari, alla maniera latina, tutto colori che stanno al di là delle Alpi, attribuendo a queste popolazioni un livello di coscienza, cultura e sapere artistico enormemente inferiore al proprio, anche nell’organizzazione politica.

Una nozione che non si è mai completamente estinta nella cultura italiana... Oggi circola il pensiero che vi sia stata una rottura delle frontiere e che i barbari non siano più al di là delle Alpi ma fra di noi, e quell’elemento di inconsapevolezza e incultura che aveva contraddistinto le popolazioni straniere rispetto a quella italiana si sia insinuato fra noi. Un’opinione ardita, che andrebbe approfondita, ma che dà un’idea di come il rapporto fra una scelta libera e consapevole e una scelta supina e passiva si sia rovesciato a favore della seconda».

E in tema citazioni sui “barbari” collegate all’attualità politica va segnalata infine la replica del sindaco di Pordenone Ciriani alle parole dello scrittore Javier Cercas che ieri aveva definito Salvini “un uomo orribile”. Ciriani ha detto che è stato uno scivolone e di non ha gradito quelle parole.

 

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto