Biondi: cantare, è tutto la mia gioia, la mia fortuna

Degli artisti ai quali non serve una presentazione basta si dica il nome e riaffiora la fama. Questo accade anche e soprattutto quando la fama porta con sé piú soprannomi: il “Barry White italiano”, il bianco che canta soul. Mario Biondi. Un artista nazionale e internazionale, orgoglio tricolore pronto a portare al Teatro Nuovo Giovanni da Udine tutta la sua energia nell’ennesima tappa del tour celebrativo “Best Of Soul”.
L’appuntamento, fissato per domenica 19 marzo, sarà anche l’evento inaugurale della rassegna “Udine in Musica”. In attesa del sipario, l’occasione per ricostruire la storia di un bellissimo viaggio iniziato trent’anni fa. Dieci anni di carriera discografica, un disco doppio e un tour per festeggiarli. Cosa aspettarsi?
«Un palco pieno di artisti di grande ispirazione musicale, tanta voglia di condividere e brani che non sono stati eseguiti da tempo e che riporto volentieri in un vestito anche modificato».
Tornando alle origini: erano gli anni ’80 e in casa vivevano già Mario Biondi e Mario Ranno (vero nome del cantante ndr), una passione sorta sulle orme paterne. «Sicuramente molto del merito va a mio padre, era lui l’appassionato di musica. Per lui poi era una sorta di “risultato mancato” non avendo potuto farlo da ragazzo. A 13 anni le prime piazze e apparizioni televisive. E di colpo mi sono trovato al “Tout Va” di Taormina». La prima delle tante svolte a 17 anni, per aprire il concerto di un certo Ray Charles. «Vero, ma ci tengo a ricordare che c’erano anche altri grandi come Peppino Di Carpi, Fred Bongusto, Franco Califano. Tutti artisti che purtroppo noi italiani non ricordiamo: ci sembra sempre che i prodotti di casa nostra siano meno meritevoli di quelli inglesi e americani. In ogni caso stare vicino a “The Genius” è stata una grande e fortuita fortuna”».
Con “This Is What You Are” è arrivata la fama internazionale. «E non me lo aspettavo. E diciamo che non era nemmeno quello che volevo. Di certo ero arrivato a un momento della vita nel quale desideravo avere una finestrella cui affacciarmi con più comodità». E sono iniziati gli album e le collaborazioni, ma alla base c’è sempre la musica. «Per me è vita, non sono mai riuscito a considerarlo lavoro: è professione, passione e tanto altro. Certo oggi più che mai richiede una grande dose di impegno per gestire dieci musicisti sul palco, un repertorio di trenta canzoni, teatri anche con diecimila persone. Però non è un lavoro: è una grande fortuna».
Ma si tratta comunque di un genere non tradizionalmente bianco, né tantomeno italiano. «In verità è tutto una grande contaminazione: non è vero che il soul sia stato solo appannaggio dei neri d’America, perché tanto viene anche da Elvis e da altri grandi artisti bianchi. E il bello della musica è che non c’è razza».
Mario Biondi deve recarsi su un’isola deserta e può portare con sé solo un album del passato, la foto di un artista con cui ha collaborato e una sua canzone: cosa sceglie? «Jarreau di Al Jarreau, disco del 1983. La foto abbracciato con lo zio Al scattata negli studi di Los Angeles. E come brano “Cry Anymore” perché è importante non piangersi addosso, ma essere felici di quello che la vita offre». Uno sguardo al futuro: si parla di Marcella Bella, Brasile e una carriera da produttore di giovani talenti. «Con Marcella Bella, ormai tra pochi mesi, dovremmo riuscire a riportare questa grande artista sul palco. Il Brasile è una bella sfida, ma è ancora in divenire. Di nuovi talenti ne incontro tanti e ne porto alcuni con me sul palco: una su tutte Serena Brancale».
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