“Basta attendere” di Enzo Martines: le due facce dell’esistenza

La nuova raccolta di liriche dell’autore udinese la presentazione giovedì, alle 18, al Palamostre

Martina Delpiccolo

UDINE. Torna la primavera. E con essa la Giornata mondiale della poesia, istituita dall'Unesco nel 1999 per promuovere un patrimonio globale, un’arte universale in grado di sconfinare con la sua bellezza e con la sua musicalità, attraversando le diversità linguistiche e culturali dei versi, che brillano di significati profondi da decifrare.

Ci sono tanti modi per vivere questa giornata: cercare tracce di poesia nel mondo, rileggere i grandi poeti, azzardare un verso, mettersi in ascolto di assonanze, pensare al senso di quest’arte, alla sua utilità o meglio al valore inestimabile della sua inutilità, del suo ribellarsi alle logiche consumistiche, della sua potenzialità di scandalizzare, scuotere o solo sfiorare.

Un modo felice di festeggiare questa giornata è trovarsi insieme tra le pagine di un libro di versi fresco fresco di stampa, che sarà nelle librerie agli inizi di aprile, ma che viene presentato in anteprima giovedì 21 marzo, al Palamostre, alle 18: “Basta attendere” (Edizioni AttraVerso) di Enzo Martines.

Così l’autore svela dimensioni diverse, indicandoci il senso del suo poetare: «Due facce con cui è possibile relazionarsi con il mondo; la faccia del fare, dell’azione, e la faccia della profondità che fornisce il perché dell’azione. La poesia è lo strumento della profondità, che è una necessità, più che mai oggi, nella società contemporanea in cui i social snaturano l’indole emotiva dell’approfondimento».

“Basta attendere” è un titolo ambivalente: invito all’attesa, tema che ritorna nella silloge, o anche esortazione a passare all’azione. C’è chi usa l’ironia per dire scomode verità. Martines lo fa attraverso la poesia, allo specchio, facendo i conti con se stesso.

Nella profondità, senza perdere mai di eleganza, parla di un’esistenza “zanzariera dalla fitta maglia”, di foschia nell’intimo, di respiro soffocato, di silenzio disturbato, di “sentimento privo di sillabazione”, di “sogni spazzolati troppo facilmente”.

La raccolta si apre conducendoci d’urgenza all’anima del poeta, non definita, non strutturata, “liquida”, e per questo sensibile al contatto di un dito che vi genera cerchi concentrici, come echi del tocco.

Il dito è di un “tu” che può appartenere alla vita del poeta o che può essere il lettore, chiamato a far scaturire versi come quei cerchi concentrici. La poesia “spezza”, destabilizza. La vita del poeta è un’altalena feconda di quiete e di inquietudine. Per passare da uno stato all’altro, ancora e ancora, “basta attendere”.

«Il mio è un inno muto / alla vita breve, nei suoi molti anni». Versi che vagano a Udine, a Roma, nella laguna di Grado, tra le «strade senza tetti» di Santorini.

C’è l’infanzia che ha per testimoni i pioppi, un’età «senza dossi», fatta di sogni, di un motorino bagnato, di un campionato. Ci sono i versi dedicati alla figlia e quelli per figli mai avuti. C’è la madre Franca, colta nell’epoca più bella del “tempo imperatore”: «Tu vecchia, io maturo». C’è l’alter ego del poeta, il «giudice stronzo», la «coscienza carogna della leggerezza».

C’è la poesia del ragazzo che sceglie la politica, c’è lo sguardo feroce della sconfitta e l’incontro, una carezza luminosa che ferma il tempo.

C’è la signora straniera, realtà e metafora, che dà ciclamini, sorrisi e preghiere a uomini come «fiori in cattività». Ci sono le ragazze che «non sanno ancora quello che è troppo» mentre il tempo del poeta «frana».

Nella seconda parte, arriva la sorpresa di un poemetto che osa trattare “L’amore adulto”, come un abbraccio di due «contrappesi», «vulnerabili» e «consapevoli», in trasformazione, con «l’accortezza di attendere», ancora.

E a impreziosire il libro c’è la prefazione di Antonella Gatti Bardelli, che indugia sulla fatica della parola ideale, per la quale forse “basta attendere” come dice il titolo della silloge.

In una sensibilità che l’avvicina all’autore, riflette sulla capacità della poesia di generarsi dentro il poeta per arrivare al lettore, grazie ad essa “meno solo”. Martines in ogni caso precisa: «A chi suo malgrado non coglierà le mie parole, / le mie più ispirate considerazioni, grazie lo stesso».

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto