Antichi racconti delle Terre alte: l’antologia di D’Andrea e Cimenti

Il libro sarà presentato domenica 7 dicembre a Rigolato. Le storie offrono una rappresentazione fedele della spontaneità popolare

Alessandra Ceschia
Ludaria e Rigolato rappresentate in una cartolina d’epoca
Ludaria e Rigolato rappresentate in una cartolina d’epoca

Racconti tramandati attraverso una lunga tradizione orale — las còntos des vàvos — che si è perpetuata nel corso dei decenni, conservando freschezza e rilevanza di contenuti, in quanto espressione della spontaneità e dell’autenticità popolare: elementi intimamente radicati nei territori delle Terre alte che costituiscono una cifra distintiva della civiltà contadina sviluppatasi nelle valli alpine.

Còntons di Madins, Racconti sotto l’albero edito da L’Orto della cultura, nasce da una felice intuizione di Fabio D’Andrea, sindaco del Comune di Rigolato, che si è avvalso della collaborazione di Adriano Cimenti, scrittore profondamente radicato nel territorio, dove sono anche ambientate molte delle sue narrazioni.

Il libro – arricchito da foto di Ulderica Da Pozzo, Marco D’Agaro, Franco Vidale, Giuseppe Di Sopra, Emi Puschiasis e tratti da archivi privati – sarà presentato domenica 7 dicembre alle 18 nella sala polifunzionale del municipio di Rigolato.

I due autori, con vissuti e sensibilità diverse, hanno messo a fattor comune la propria esperienza per tratteggiare un quadro fedele dal dopoguerra ai giorni nostri. Le storie sono riportate seguendo un metodo scientifico di ricostruzione del passato, riesumando gli antichi “idioms” del dialetto locale, ormai caduti in disuso, ma che, nella loro oggettività, esprimono lo spirito e il substrato popolare e corale che informa l’intera raccolta, nel solco di quei criteri estetici e di contenuto che costituiscono un tratto distintivo del “realismo storico” che ha caratterizzato le opere di altri scrittori friulani, da Pasolini a Sgorlon, rinvenibile, infine, anche nelle narrazioni di Mauro Corona.

Con l’intento di offrire una visione d’insieme della società rigolatese di un tempo, i racconti contenuti nel libro, attingendo alla tradizione orale, offrono una rappresentazione fedele di quella spontaneità popolare che, nei secoli, ha contraddistinto la civiltà alpina, mettendone a nudo gli aspetti salienti e le contraddizioni, che hanno animato la vita di paese, dove “tutti” conoscevano le vite degli altri. Come le tessere di un puzzle che, all’occorrenza, attraverso lo strumento potente ed espressivo dell’ironia, vengono scomposte e ricomposte in un mosaico credibile e veritiero, i due autori trasformano Rigolato e le sue amene frazioni, in una nuova Spoon River, il luogo in cui si celebra la vita di queste comunità, vissuta e riproposta a ritroso, attraverso una narrazione vivace e immersiva.

Come Lee Masters, con la sua celeberrima “Antologia”, ha voluto descrivere, attraverso le epigrafi scolpite nelle tombe dell’immaginaria cittadina di Spoon River, la vita della provincia americana, prospettando al mondo gli ideali di libertà e di progresso alla base del sogno americano, con i propri racconti, D’Andrea e Cimenti prendono in rassegna le esistenze e le vicissitudini di persone che hanno caratterizzato la realtà locale, offrendo alla comunità una preziosa testimonianza da consegnare alle generazioni future.

«Con questi racconti – raccontano gli autori – abbiamo voluto rappresentare, ma anche esaltare, l’insieme dei valori insiti nel patrimonio linguistico legato alla nostra secolare tradizione orale: quei valori che, nel tempo, hanno assicurato l’unità e la tenuta del tessuto sociale legato a un substrato contadino sui generis, autonomo e ben distinguibile, così come gli usi e i costumi che hanno guidato e informato l’esistenza di uomini e donne che, a vario titolo, con la propria operosità, saggezza ed esperienza di vita, hanno segnato la storia di questo comune».

«La foto esposta in copertina, che riporta la chiesa madre di Rigolato, che Marco D’Agaro ha saputo sapientemente ed efficacemente riprodurre e che pertanto vogliamo ringraziare, è il simbolo più eloquente dei valori che essa sinteticamente incarna, legati alla variegata, ma coesa civiltà alpina: quelli che la nostra gente ha espresso con continuità nel corso dei secoli, e che pertanto diventa necessario custodire e tramandare, onde evitare di perdere un patrimonio di suggestioni e di esperienze che costituisce il fulcro e il fondamento dell’inossidabile e resiliente componente identitaria che accomuna coloro che sono vissuti o che hanno le proprie radici in questo territorio».

«La chiesa vuol essere infatti un simbolo di identità e di aggregazione sociale; poiché, all’interno delle sue possenti e austere mura, si può ancora respirare il senso della storia e della civiltà: quell’afflato identitario che continua ad aggregare individui diversi per cultura, origine ed estrazione sociale, e che in essa, in quanto espressione di unità di intenti e di coesione sociale, si riconoscono come parte attiva e indivisibile di questa comunità». 

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