Le anime dei luoghi: gli Echi del tempo di Ulderica da Pozzo
La fotografa friulana alla Galleria Sagittaria di Pordenone. «Luoghi, case e spazi in cui depositiamo l’esistenza»

È un viaggio visivo fra luoghi abbandonati e presenze silenziose evocate dalle cose, un racconto per immagini che intreccia passato e presente “Echi del tempo. Fotografie per una memoria identitaria”, la mostra personale di Ulderica Da Pozzo che si inaugura sabato 15 febbraio a Pordenone, alle 17.30, nella Galleria Sagittaria della Casa dello studente, presentata ieri alla stampa dalla presidente del Centro iniziative culturali di Pordenone – che organizza l’esposizione - Maria Francesca Vassallo.
Ulderica Da Pozzo è da sempre fotografa che “ascolta” i luoghi e le cose con l’anima prima ancora che con gli occhi, cercando di restituire loro voce e dignità attraverso la luce e l’inquadratura. La sua è una fotografia sensibile, capace di riconoscere un valore identitario, soggettivo e collettivo, in ciò che sembra dimenticato. Con il suo prezioso lavoro, più volte premiato, ha costruito negli anni un archivio fotografico di alto valore antropologico sui più svariati temi del Friuli Venezia Giulia.
«Ho sempre pensato al tempo, al mio e a quello degli altri», racconta. «Da bambina vivevo con l’idea che il tempo e la morte fossero intrecciati ai luoghi, alle case, agli spazi dove depositiamo parte della nostra esistenza».
Ecco che questa sua nuova mostra propone oltre 55 opere fotografiche scattate dagli anni ’90 fino a oggi, raccontando ancora una volta la memoria impressa nei luoghi. Come Campivolo, il più antico borgo di Ravascletto, svuotato a seguito di una frana e poi abbandonato. L’artista ne ha documentato il progressivo declino, fotografando gli interni e gli oggetti superstiti.
Accanto a questi scatti, il percorso espositivo abbraccia il Friuli antico e la sua montagna dimenticata: le Valli del Natisone, la Carnia, il Canal del Ferro. Qui la fotografia diventa una forma di custodia della memoria: volti, case e dettagli raccontano storie di resistenza e abbandono. Un altro elemento forte della mostra è il rapporto fra oggetti e memoria. Il cavallino di legno costruito dal nonno dell’artista – che non ha mai conosciuto ma di cui ha sentito "nostalgia" attraverso il racconto della madre – sarà esposto fisicamente, oltre che in fotografia.
«Non è nostalgia in senso triste – afferma Da Pozzo – ma il “sentire” le cose in un certo modo, come un gioco, come rincorrere ciò che fa parte di una vita». Allo stesso modo, un lettino da bambini in una casa chiusa da tempo a Coderno racconta storie di infanzia sconosciute, sogni ormai svaniti ma ancora presenti negli oggetti.
Il percorso espositivo si chiude con una serie di fotografie dedicate ai fuochi e ai falò, simboli della ritualità popolare friulana. Secondo il curatore della mostra Angelo Bertani, questi scatti rappresentano un “concentrato” del lavoro dell’artista sulle tradizioni. Tracce di memoria che Da Pozzo salva «prima che quel mondo e quella cultura secolare si dissolvano».
Allestita con la collaborazione di Gianni Pignat e corredata da un catalogo realizzato da Patrizio De Mattio per Dm+B Associati, la mostra si potrà visitare fino al 5 aprile, con ingresso gratuito.
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