Alda Merini 10 anni dopo «La ribelle della poesia»

«Alda Merini nasce il 21 marzo 1931 in viale Papiniano, all’angolo con via Mangone, a Porta Genova, a Milano. Il quartiere è in profondo mutamento e lei descriverà l’ambiente sociale in cui è cresciuta come trasversale, meno diviso in classi. Amante della bellezza, noterà semplicemente che alcuni abitanti della zona sono eleganti, altri no».
Annarita Briganti, firma di Repubblica e Donna Moderna, che si è fatta conoscere anche come scrittrice per i romanzi “Non dirmi come sei nata”, vincitore del Premio Comoinrosa opera prima nel 2014, “L’amore è una favola” e “Quello che non sappiamo”. è l’autrice di “Alda Merini. L’eroina del caos” (Cairo editore), una biografia, molto precisa per testimonianze e date, scritta da chi la letteratura la pratica e la conosce bene.Oggi, sabato, sarà ospite a Pordenonelegge (alle 15, all’Auditorium Istituto Vendramini, con Renzo Paris, presentati da Mary Barbara Tolusso), per due sguardi molto diversi su due poetesse: Merini e Rosselli.
Briganti che celebra il mito per trovare la donna, definisce Merina “una poeta” ed è da lì, da una parola potentissima, non declinata al femminile, che inizia la nostra intervista. «Lei stessa amava definirsi così, al maschile come tante grandi: Fallaci, Morante, per ribadire che la poesia è cosa da donne. I poeti “laureati”, gli uomini non le hanno mai reso la vita facile. Alda Merini è stata una poeta, non una poetessa. Rock, ribelle, sopra le righe, contro ogni forma di convenzione e d'ipocrisia. Per me la più grande poeta del Novecento. “La Terra Santa” è un capolavoro della letteratura».
La candidatura al Nobel, una vita drammatica, ricca e complessa. Colpisce che sia la poeta più social, più condivisa, più popolare.
«Lei voleva questo. Odiava la poesia ermetica, voleva arrivare alla testa, al cuore e alla pancia. Per questo la postano il ragazzo deluso dall’amore, l’intellettuale, la donna tormentata. Chi è alle prese con il disagio»
Che rapporto aveva con Milano?
«Le ha dedicato un ponte ai Navigli, la casa è stata ricostruita nello Spazio Merini, in via Magolfa. Il funerale fu celebrato in Duomo. La città l’ha rispettata e protetta, una cosa fondamentale per il suo disagio. Riposa nel Cimitero monumentale accanto ad altri cittadini illustri».
La biografia arriva a dieci anni esatti dalla sua morte.
«Nelle cifre tonde ricordiamo ma è dopo che bisogna continuare a farlo. La biografia è un genere molto nobile, che amo molto. Non volevo una storia romanzata, ma un saggio che mettesse in ordine i fatti della sua vita, con testimonianze autentiche e inedite. Ho ascoltato le parole i ricordi, spesso contraddittori tra loro, degli amici del “cerchio magico”, la figlia Barbara, il fotografo Giuliano Grittini. Ognuno mi ha raccontato una Alda diversa, tante donne e tutte vere. Non sapremo mai chi c’è nella sua tomba».
Se dovesse creare un hastag per lei, cosa sceglieresti?
«Non ho dubbi #finoallafine. Non ha mai mollato. Nonostante il dolore, l’esperienza terribile del manicomio, l’elettroshock, (ne subì una cinquantina), la sua solitudine, i traumi, l’essere donna in un modo maschile e poco disposto a riconoscere il valore femminile». —
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