Un corteo in bianco per salutare Emanuele

COLLOREDO DI PRATO. «Dov’è Dio, che non ha ascoltato le mie preghiere e non ha fatto ritornare a casa mio figlio?». È la domanda che Nicolina, la mamma di Emanuele Lo Castro, il ragazzo di 17 anni di Colloredo di Prato scomparso dopo un tuffo nel Tagliamento lo scorso mercoledì, all’altezza di Villanova di San Daniele, ha rivolto al parroco della frazione di Pasian di Prato, Angelo Rosso, il giorno in cui è stato ritrovato il corpo senza vita del suo bambino.
Ed è la stessa domanda con la quale il parroco ha deciso d’iniziare l’omelia durante l’ultimo saluto al ragazzo. E alla tragica richiesta di una madre, stravolta dal dolore, «ascoltavo senza poter rispondere», dice don Angelo, perché di risposte, di fronte a una vita spezzata così, in una giornata di spensieratezza, ce ne sono poche.
Il silenzio, come un mantello, avvolge la piccola comunità alle porte di Udine prima dell’arrivo della bara. Un paese fantasma, piegato dal dolore. Le serrande sono abbassate, non si sente nemmeno il rumore delle auto davanti alla chiesa. Solo le cicale e il cinguettio degli uccelli.
Un suono dolce, com’è dolce l’immagine di tutti gli amici, i conoscenti, i parrocchiani e i parenti che si sono vestiti di bianco, rispettando la volontà della mamma di Emanuele che aveva chiesto di partecipare all’addio senza colori scuri, per ricordare la purezza del suo ragazzo.
I minuti fuori dalla chiesa scorrono lenti, sono interminabili, gli sguardi sono vuoti e ci si asciuga le lacrime. Nicolina stringe al petto una maglia gialla con il nome del figlio e non riesce a trattenere le lacrime, il papà Santo e il fratello Mario arrivano a piedi, sorretti dai parenti, mentre il feretro di Emanuele si avvicina e si ferma davanti al sagrato.
Mani che s’intrecciano con forza, volti distrutti e straziati dal dolore. In chiesa, troppo piccola per ospitare tutti i presenti, la bara bianca viene appoggiata sul pavimento e prima dell’inizio della funzione la mamma di Emanuele si accascia e, affranta, abbracciando la salma, distende con delicatezza la maglietta del suo Emanuele sulla corona di fiori.
«Più che un funerale, vedendo tanti giovani in bianco, è una festa – afferma il parroco, salutando il sindaco Andrea Pozzo che assieme ad alcuni consiglieri ha partecipato alla cerimonia –. Giovedì ho visto gli amici di Emanuele uniti nel dolore, hanno pianto e pregato in oratorio e in chiesa. Questo è il momento del silenzio e della riflessione – ha osservato don Antonio –, perché la vita è un soffio ed Emanuele – aggiunge riprendendo le parole del Vangelo di Giovanni – è come quel chicco di grano a terra che muore e produce frutto». Di fronte alla scomparsa di un ragazzo strappato all’amore di una famiglia all’improvviso, il prete invita alla fede. In chiesa gli amici dell’oratorio riempiono l’altare, cantano, suonano la chitarra e leggono le preghiere.
«La tua purezza, la tua semplicità e il tuo altruismo lasciano un segno indelebile nella nostra comunità», pronunciano tra le lacrime. «Siamo incapaci di trovare le parole per confortare questi ragazzi – aggiunge un catechista –: non lasciare si sentano abbandonati, fai sentire forte la tua presenza nell’amicizia che li lega, affinché coltivino il dono della vita con entusiasmo». Generoso, un amico speciale, «ci ha insegnato che un giorno senza sorriso è un giorno perso», e anche i cugini lo hanno ricordato come un ragazzo dolce, solare e gentile, ringraziando il paese e l’oratorio «che tanto amava» per la vicinanza alla famiglia.
E all’uscita della chiesa, il lungo corteo bianco ha abbracciato per l’ultima volta Emanuele, accompagnandolo al camposanto. I suoi amici tenevano in mano una rosa bianca, come simbolo del candore e dell’innocenza d’animo di un ragazzo nel fiore della vita che la corrente si è portata via troppo presto.
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