Il caso dei cibi scadenti a scuola: il Comune di Udine condannato deve restituire 123mila euro
La Corte d’appello di Trieste riforma la sentenza di primo grado: contratto revocato illegittimamente, ancora aperto il procedimento penale per frode

Sul fronte penale il procedimento è tutt’ora in corso, per l’ipotesi di reato di frode in pubbliche forniture. Ma tra Comune di Udine e Ep spa c’è anche una disputa civile, con al centro la revoca del contratto da parte di palazzo D’Aronco nei confronti della società partenopea all’indomani della scandalo relativo al servizio di fornitura delle mense scolastiche in città. La seconda sezione civile della Corte d’appello di Trieste, qualche giorno fa, ha fatto segnare un punto a favore della Ep. I giudici hanno accolto in parte il suo appello riformando la sentenza di primo grado e condannando il Comune a restituire alla società 123.624 euro e a pagare le spese legali dei due gradi di giudizio, che sfiorano i 30mila euro. Sentenza non ancora definitiva.
Tutto è nato dall’atto di citazione presentato dalla Ep nel settembre 2021 con cui la società chiedeva al tribunale di Udine, previo accertamento dell’illegittimità della risoluzione da parte del Comune del contratto di appalto relativo al servizio di mensa scolastica per gli anni 2020/2021 e 2021/2022, la restituzione della cauzione a suo dire «illegittimamente escussa» nonché delle penali applicate dal Comune.
Un rapporto, quello tra istituzione ed Ep, cominciato con il piede sbagliato, vuoi per l’emergenza Covid, vuoi per alcune modifiche in corso d’opera all’organizzazione degli spazi refettorio. Da quanto riportato nei motivi dell’appello, la Ep ha contestato una serie di violazioni mosse fin dai primi mesi dal Comune, citando come esempio le modifiche unilaterali delle modalità operative ed esecutive del servizio di refezione. Tutto questo senza una sottoscrizione formale del contratto. In seguito ad alcune verifiche eseguite dal Nas di Udine, poi, l’amministrazione comunale aveva deciso per una risoluzione del rapporto contrattuale, nel luglio 2021.
In conseguenza a tale atto il Comune aveva sospeso il pagamento delle fatture incamerando la cauzione già versata da Ep. Tra i rilievi mossi in seguito agli accertamenti c’erano la presenza di corpi estranei nei pasti, la mancata consegna di alcuni alimenti, errori nelle diete, cattiva gestione dei rifiuti, temperature dei pasti non conformi.
Per l’Ep, però, tali azioni non sarebbero state giustificate, in quanto «la sola indagine penale non era sufficiente a fondare automaticamente la valutazione da parte del Comune di dubbia integrità e affidabilità dell’affidataria». I giudici della Corte d’appello hanno ritenuto valida la doglianza relativa alla sottoscrizione del contratto di appalto, sottolineando come non sia stato «concluso con la forma scritta prevista». Per questa ragione palazzo D’Aronco non poteva avvalersi della clausola risolutiva. Detto questo la Corte ha accolto anche il secondo motivo d’appello, quello relativo all’incameramento illegittimo della cauzione. Ecco spiegata la richiesta al Comune di restituire a Ep i 123mila euro escussi.
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