Tre progetti e vent’anni di lavori per l’opera “a metà” di D’Aronco

A Udine, talvolta, le cose pubbliche avanzano lentamente, tra pause e ripensamenti. Storia emblematica è quella del palazzo più in vista, palazzo D’Aronco, sede del municipio, frutto di una gestazione complicata e sofferta, in primo luogo per chi lo aveva ideato. Attorno a questo progetto vide ruotare tutta la propria esistenza, che trovò comunque altri terreni straordinari nei quali esprimere genio e talento. L’architetto Raimondo D’Aronco diede l’anima per la sua creatura che gli costò notti insonni, polemiche e battutacce, comprese quelle del barbiere che aveva la bottega in via Rialto e che, mentre proseguivano i lavori, continuava a trovargli difetti, finché l’architetto, stufo, lo fece effigiare con le orecchie d’asino e bendato in uno dei musi in pietra sulla facciata verso piazzetta Lionello, a simbolo di quanto sia stata impervia la battaglia udinese.
Raimondo D’Aronco nacque a Gemona nel 1857, primogenito di un imprenditore edile che, volendo placare il figlio, soprannominato Attila per il carattere ribelle e autonomo, decise di mandarlo a studiare e lavorare in Austria. Ottima scelta, che fece del bene al giovane rampante. Tornato in Friuli, da entusiasta trentenne volle dire la sua nella questione apertasi a Udine da quasi mezzo secolo su come fare il nuovo municipio, alle spalle della loggia del Lionello, collegato a questa, ma con spazi ridotti in un groviglio di vecchie case. Raimondo non si spaventò e nel 1888 presentò il suo progetto che però, tanto per non sbagliare, il Comune mise in naftalina a lungo. Intanto D’Aronco ebbe modo di mostrare la sua verve su scenari importanti cogliendo al volo l’opportunità datagli dal governo italiano che lo aveva inviato a Istanbul per progettare l’Esposizione nazionale ottomana, ma un violento terremoto sconvolse la città e l’architetto gemonese rimase in Turchia a lungo per eseguire importanti restauri, come quello di Santa Sofia, e costruire bellissime ville, divenendo l’archistar di fiducia del sultano. Quando rientrò a casa dopo simili esperienze, Raimondo scoprì che a Udine non avevano sciolto l’enigma del municipio e così propose un secondo progetto, nuovamente bocciato, finché al terzo colpo, nel 1910, gli andò dritta e i lavori cominciarono, con la demolizione del vecchio edificio comunale e della Casa veneziana, poi ricostruita in piazza XX settembre.
Tutta questa storia, che è quasi un romanzo, o meglio un’Odissea udinese, è narrata in un libro pubblicato dall’editore Senaus nel 2008, con saggi di Diana Barillari, Giuseppe Bergamini, Gabriella Bucco, Liliana Cargnelutti e le foto di Gianluca Baronchelli. Testo utile per capire cosa si nasconde dietro quelle facciate ora grigie, quei mascheroni tristi e bisognosi di cure e pulizie. Ma presto (come è stato annunciato ieri), grazie a una nuova iniziativa di intelligente mecenatismo, si procederà in tale senso, ridando lustro e bellezza al più importante palazzo pubblico della città, l’unico del resto a essere stato voluto e costruito direttamente dall’amministrazione perché, se ci si pensa, tutte le altre maggiori sedi comunali sono frutto di donazioni e atti munifici.
Riassumendo, ecco le date clou di palazzo D’Aronco: primo progetto di Raimondo 1888, secondo 1907, terzo 1909, avvio dei lavori 1910, e poi prima parziale inaugurazione il 6 luglio 1930, quindi 90 anni fa circa, quando la duchessa Elena d’Aosta venne a suggellare il completamento di scalone e antisala Ajace.
Ma furono piccole soddisfazioni per D’Aronco, che morì il 3 maggio 1932. Fino all’ultimo, amareggiato, non riconobbe la sua creatura. Aveva dovuto cedere a troppi compromessi di fronte alle richieste del Comune. Così non le aveva trasmesso la sua anima, il suo stile. —
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