Terremoto del Friuli, l’Ariete fu mobilitata Alle 2 l’ordine: partite

PORDENONE. «Ero davanti alla tv con i bambini quando sentii tremare il palazzo. Mia moglie uscì di corsa dalla cucina mentre dal tavolo cadevano alcune bottiglie di vetro, schiantandosi. Presi i bambini e ci precipitammo giù per le scale, all’aperto. L’unico che aveva capito cos’era bene fare in quel momento era stato il cane, che istintivamente si infilò in un baleno sotto il letto, in camera, e ci restò per un bel pezzo».
Il generale Gaetano Maggio, ricorda così le 21.02 del 6 maggio 1976, quando la scossa rase al suolo parte della Carnia. Abitava a Pordenone ed era tenente colonnello alla caserma “Martelli”, dov’era di stanza l’8ª brigata meccanizzata Garibaldi che allora dipendeva dalla Divisione Ariete. Il tempo di assicurarsi che i familiari stessero bene, infilarsi una giacca a vento e correre in caserma.
Allerta in caserma. «A quel tempo le palazzine erano affollate da militari di leva, e qualche bersagliere, nel parapiglia, si era fatto un po’ male: tutto il personale in libera uscita era rientrato – ricorda Maggio – Arrivarono il generale della brigata, Michele Santaniello, e il comandante di divisione dell’Ariete, Nicola Chiari.
Non c’erano cellulari all’epoca e le comunicazioni erano interrotte: ci mettemmo alla radio, per capire cosa fosse successo. A un certo punto captammo la voce di un radioamatore: “Della tragedia che ci ha duramente colpito”… Ci guardammo. Ma dove? A Pordenone non era successo nulla».
Il vicecomandante della brigata, Filiberto Bertolazzi, si mette subito a bordo di una Campagnola e si avvia verso la Carnia, perché in passato dei terremoti si erano verificati sempre lì. Tiene informati via radio man mano che avanza, percorrendo anche le strade secondarie, per capire dove occorre intervenire.
Arrivato a San Daniele evidenzia una situazione di particolare gravità. «Spiegò che gli essiccatoi erano in parte crollati e si vedevano i prosciutti penzolare dai soffitti – rammenta il generale Maggio – Disse allora di mandare subito le due colonne di mezzi con gli aiuti che avevamo già predisposto».
In caserma dalle 21.30 si era messa in moto la macchina dell’Esercito: s’erano allestiti dei camion con una cucina da campo, materiale di primo soccorso e pronto intervento, vettovaglie.
L’ordine di partire. «Alle 2 del 7 maggio ci giunse l’ordine di partire verso San Daniele – spiega il generale Benito Raccampo, allora tenente colonnello e comandante del 26º battaglione bersaglieri – Alle 3.30 lasciai Pordenone con 32 automezzi e 200 bersaglieri.
A mezz’ora di distanza seguiva il terzo battaglione, al comando del maggiore Vicini. Alle 4.30 un altro ordine: raggiungere Osoppo. Ci arrivammo alle 5. Lo spettacolo che si presentava era terrificante. Osoppo non c’era più».
Maggio intanto resta alla Martelli. In qualità di capoufficio operazioni del comando brigata apre una sala operativa, per coordinare i contatti tra il comando di divisione e i militari che si stanno dirigendo sui luoghi del disastro.
Il giorno dopo l’onorevole Zamberletti viene nominato Commissario straordinario dal governo, e istituisce centri operativi di intervento, composti al 90% dall’Esercito e il rimanente da carabinieri e vigili del fuoco.
Dopo 48 ore Maggio viene nominato capo centro operativo e inviato a Osoppo: «Man mano che mi avvicinavo a San Daniele trovavo della nebbia sempre più fitta. Era la polvere causata dai crolli delle case che ancora fluttuava densa, un paesaggio spettrale e silenzioso».
Arrivato a Osoppo, organizza un battaglione bersaglieri perché installi subito un refettorio e delle tendopoli per Osoppo, Bordano e Trasaghis. «Quando entrai ad Osoppo restai colpito dai visi degli abitanti. Erano annichiliti, scioccati, impietriti dal dolore. Ma anche pieni di riconoscenza per noi, per essere arrivati subito in aiuto. Una gratitudine – chiosa – che è durata nel tempo. Ancor oggi conservo numerose amicizie».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto