Tecnica e cuore durante l’alluvione: «Il vescovo ci chiamò per salvare i libri»

Pierluigi Ricci è volontario da oltre 30 anni nella Protezione civile. Ha organizzato i corsi per il recupero delle opere d’arte danneggiate

Valentina Voi
pierluigi ricci
pierluigi ricci

Quando, diversi anni fa, Pierluigi Ricci fu incaricato di organizzare per la Protezione civile i corsi per il recupero di opere d’arte danneggiate da terremoti e alluvioni, lo fece con il consueto impegno: come dipendente comunale li impostò dal punto di vista teorico e pratico; come volontario della Protezione civile vi partecipò in prima persona.

«Mai avrei immaginato che un giorno questi corsi sarebbero tornati utili» racconta. Più che utili, sono stati necessari: hanno consentito il recupero dei libri antichi conservati nella biblioteca del seminario di Forlì, completamente allagato. «Il vescovo della diocesi di Forlì e Bertinoro, monsignor Livio Corazza, nativo di Pordenone, chiese allora aiuto ai volontari friulani, conosciuti ed apprezzati per la loro dedizione».

Questa, però, è solo l’ultima tappa di un lungo percorso di impegno per la comunità. Partiamo dall’inizio.

«Attualmente sono in quiescenza, ma ho lavorato 38 anni ai Lavori pubblici del Comune di Pordenone e lì, negli anni Novanta, ho visto nascere la Protezione civile del mio Comune, sia come dipendente che come volontario».

Agli anni di pubblico impiego ha affiancato 35 anni di volontariato nella Protezione civile. Oggi, a 68 anni, presta anche servizio nell’associazione San Valentino.

«Mi occupo dei defibrillatori: non è solo necessario montarli la prima volta, ma alcune componenti vanno cambiate periodicamente. A casa tengo l’archivio delle scadenze e contatto le ditte che se ne occupano. Inoltre tengo puliti i totem».

Insomma, il suo è un impegno a 360 gradi. Come è nata la specializzazione che, due anni fa, vi ha portati in prima linea a Forlì?

«La Protezione civile della Regione indice annualmente corsi di tutti i tipi per i volontari per una loro crescita professionale e un anno propose, in collaborazione con la Sovraintendenza dei beni culturali di Udine, dei corsi per i recupero di opere d’arte danneggiate a seguito di terremoti o alluvioni. Organizzai così, come dipendente del Comune, il corso teorico e pratico per i nostri volontari, compreso me».

Come si svolgevano?

«La parte teorica fu gestita dalla responsabile della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio del Fvg di Udine, dal responsabile delle opere d’arte conservate nel museo della Diocesi di Pordenone e Concordia e dal capitano del Comando dei Carabinieri per la tutela del Patrimonio Culturale. Per la parte pratica, fu simulata una scossa di terremoto importante che danneggiò il museo civico d’arte Grigoletti di Pordenone e i volontari appresero dai funzionari della Soprintendenza come comportarsi in questa situazione, con il rilievo del punto in cui si trovava l’opera, il prelievo con guanti speciali, l’imballaggio ed il trasporto di quadri e statue nei magazzini destinati alla loro conservazione in attesa di essere restaurati. Nella simulazione dell’alluvione, finti libri di pregio sono stati immersi nell’acqua all’interno di vasconi e i volontari hanno appreso dagli istruttori come recuperarli».

Forti di quell’esperienza, nel maggio del 2023 monsignor Corazza chiamò proprio voi.

«Come dire di no: immediata fu la risposta dei volontari, indossammo la divisa, i Dpi necessari e via alla volta di Forlì accompagnati da tecnici della PC regionale. Furono giorni difficili, sempre immersi nel fango impegnati nel recupero dei libri antichi lì custoditi; la Biblioteca di Forlì infatti conservava i “quattrocentini”, i “cinquecentini” e gli “incunaboli”. Accanto a me hanno lavorato in modo indefesso i volontari del gruppo di Pordenone Renzo Fadelli, Roberto Fantin e Stefania Sandre».

Come si svolgeva il salvataggio dei libri?

«Venivano lavati esternamente, catalogati, fotografati, imbustati e riposti in contenitori di polistirolo con il ghiaccio; ogni sera i recipienti con i libri, scortatati dai carabinieri, venivano portati presso le celle frigorifere della Orogel di Cesena per il crioessicamento, una tecnica che prevede il congelamento dei libri per proteggerli dalle muffe. Gli ambienti in cui lavoravamo non erano certo salubri per la presenza di funghi e batteri che si potevano generare dalla carta bagnata e che potevano rappresentare un pericolo per la nostra salute e così la Protezione civile della Regione ci forniva quotidianamente di mascherine e di integratori. Fu una settimana faticosa, gratificata dalla riconoscenza degli abitanti di Forlì per quello che stavamo facendo per la città».

Da come li descrive, i romagnoli e i friulani sembrano avere molto in comune.

«È così. La sera ci facevano trovare la birra già pagata. E ora, a distanza di due anni, non sembra neppure ci sia stato fango».

Quella di Forlì, però, non è l’unica esperienza che le è rimasta nel cuore.

«La sera prima del 6 aprile 2009, quando il terremoto devastò L’Aquila, prima di addormentarmi mi erano tornate alla mente le belle immagini dell’esercitazione congiunta dell’anno prima tra i volontari friulani e quelli abruzzesi. Eravamo ad Anversa degli Abruzzi, paese natale dei miei genitori. Intorno alle 5 arrivò ai gruppi di PC comunali la telefonata che avvisava della scossa delle 3.02. Non ebbi un attimo di esitazione».

Cosa ricorda di quel giorno?

«Durante il viaggio arrivavano via radio notizie drammatiche e il nostro pensiero correva al terremoto che nel 1976 colpì la nostra regione e che provocò più di 1000 morti. Per l’intera settimana il nostro compito fu quello di allestire la tendopoli di S. Elia ed ogni sera, nel lasciare il posto di lavoro per raggiungere la nostra base operativa, il Campo Friuli, negli occhi degli aquilani si leggeva il loro grazie per quanto stavamo facendo».

Torna spesso in Abruzzo?

«Sì, sono nato a Pordenone ma lì ho le mie radici: ora L’Aquila è stata ricostruita per circa il 90 per cento ed è bello poter tornare oggi a passeggiare sotto i portici sapendo di aver dato allora il nostro piccolo contributo». 

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