Stefano Mazza: "Vi racconto come Zico arrivò a Udine"

MARTIGNACCO. «Galinho! Lascia stare dobbiamo andare, è tardi, c’è la partita». Lui, pacifico: «Voi pensate che io potrei essere Zico se mi rifiutassi di firmare gli autografi?».
Il nostro interlocutore lo racconta ancora con stupore. Anche se sono passati oltre trent’anni da quella mattina di Catania. Ci riceve in un residence di Martignacco, ora si occupa della commercializzazione di display a Led, lui che s’inventò il maxi-schermo Cosmo prima dei led.
Ma Stefano Mazza era il figlio di uno degli uomini più potenti d’Italia, Lamberto, il presidente della Zanussi, il colosso Zanussi. Di calcio non si occupava. Lui, studente in Economia e commercio alla Luiss di Roma simpatizzava per la Lazio...nulla più. Poi un vortice, che l’ha portato dentro un progetto che ancora oggi meraviglia: il progetto Udinese. La seconda grande Udinese della storia.
Un’era indimenticabile. Ma effimera. Da Martignacco a Catania, mille km. Che nel racconto di Mazza si annullano immediatamente, così come il tempo che ormai è passato. «Fuori dall’hotel ci saranno state oltre mille persone. Erano lì ad aspettare Zico. Che non smise di firmare autografi finchè l’ultimo non fu accontentato».
Poi la partita. La gente al Cibali che invocava la punizione del Galinho...Mazza: quando iniziò l’operazione Zico?
«Era la primavera del 1983, non ricordo se marzo o aprile. Eravamo a Villa Ottoboni, quartier generale della Zanussi. Con me c’erano mio padre, il ds Franco Dal Cin, io e Giuliodori, il mediatore brasiliano che ci aveva portato Edinho l’anno prima».
Come uscì fuori il nome di Zico?
«Semplice: il progetto Udinese prevedeva l’acquisto del brasiliano Junior per l’anno successivo, poi avremmo puntato a Zico l’anno dopo. Stavamo trattando Giordano, Mancini. Il progetto era ambizioso, l’Udinese con Surjak, Causio ed Edinho stava andando bene...».

Poi?
«Giuliodori chiese alla reception di passargli una telefonata in Brasile. Parlò un paio di minuti col campione e ci disse: bene, Zico è disponibile a trattare con l’Udinese».
Voi?
«Cominciammo l’operazione. Sapevamo dove volevamo arrivare, si trattava solo di anticipare tutto di un anno in fondo...».
Suo padre era il presidente del secondo gruppo industriale d’Italia...
«È vero, ma solo in parte. La Zanussi era proprietaria dell’Udinese dal 1981. E per la Zanussi il team era un asset importante. Capì che il calcio era uno straordinario modo per promuovere l’azienda. Ricordo ancora l’espressione del preparatore atletico Cleante Zat quando arrivava Pietro Martini, la “cassaforte” dell’azienda. Aspettava che si allontanasse un po’ e mi diceva: ’dottore guardi Martini: Non vede la partita, ma conta uno a uno gli spettatori presenti...’».
Poi cosa accadde?
«Le cose stavano cambiando. Un gruppo di 22 mila dipendenti con un fatturato, al cambio attuale, vicino ai 2,5 miliardi di euro stava per passare di mano all’Eletrolux. Mio padre lo capì e rassegnò le dimissioni il 10 giugno 1983...Questa è la verità altro che. Zico firmò in Brasile il 29 giugno 1983».
Vuol dirci che Zico lo comprò suo padre?
«Sì, all’epoca il suo patrimonio era considerevole. Pagammo Zico 4 miliardi di lire. Grazie alla Grouping di Londra, che pagava il Flamengo grazie alla vendita dell’immagine del calciatore ad aziende che noi gli procuravamo, come ad esempio Agfacolor o Diadora».
Un’operazione miracolosa...
«Pagammo il Galinho 9 milioni di euro attuali. L’avvocato Agnelli disse a mio padre: se avessi saputo che costava così poco l’avrei preso io Zico».
La prima volta che vide il Galinho?
«A Fiesole nella villa di famiglia. Arrivarono da Roma in massa i miei amici dell’Università, emozionati per stringere la mano alla star. Mi trovai davanti un professionista di grande umanità. Era consapevole di una cosa: la squadra era forte e doveva ambire ai massimi risultati. Scudetto, Coppa Italia, il massimo possibile insomma».

Un aneddoto?
«Qualche giorno ero con lui. Aprimmo il giornale. C’era un titolone sull’ingaggio di Bruno Giordano: 800 milioni. Zico prendeva meno di 360 mila dollari: si girò verso di me e disse: chi è questo Bruno Girodano per prendere così tanto?».
L’avevate fregato...
«No...ma ci rimase un po’ male...Però in quel primo anno fu fantastico: gol a raffica, stadio pieno, squadra forte».
C’erano Causio...
«Un grande campione, il suo arrivo due anni prima aveva cambiato la mentalità della squadra: la sua professionalità era il massimo».
Mauro...
«Talento, me lo ricordo giovane con la Maserati sfrecciare per Udine in cerca di nuove fiamme».
Poi Gerolin, Cattaneo, Galparoli, Miano...
«Pensi che Vinicio, il secondo anno di Zico, l’aveva preso di mira Miano. A Napoli Paolo, persona straordinaria, sbottò: rifiutò la panchina. Lo salvai io, perché aveva ragione, il mister con lui si comportò male. Pensi che dopo la sconfitta di Genova con la Samp, mentre Zico era andato in permesso in Brasile, disse alla squadra che del Galinho avrebbe fatto a meno. Zico tornò e ci chiese se Vinicio era tutto giusto...Sottovalutò Pasa e così mi fece buttar via soldi con l’ingaggio di Dal Fiume, che poi si arrabbiò perchè non giocava».
Fu un brutto anno quello...
«Il giocattolo si era rotto, anche in squadra. C’erano voci, infondate, di un disimpegno di mio padre. Infatti Zico a inizio del 1985 ci disse che non sarebbe rimasto a Udine».
Quando lo vide per l’ultima volta?
«Nel tunnel del Friuli dopo Udinese-Napoli. Maradona fece gol con la mano, Zico s’infuriò contro l’arbitro Pirandola di Lecce che ci aveva fischiato contro di tutto...lo inseguì, lo insultò. Lo stava per aggradire quando lo cinturai. Beccò sei giornate di squalifica. Qualche giorno dopo arrivò la condanna per esportazione di capitali all’estero».
Le piacerebbe incontrarlo di nuovo?
«Certo, a lui credo di no: il suo entourage temo gli abbia raccontato tante cose non vere su mio padre».
Zico dovette lasciare l’Italia per non finire in carcere...
«Ma nel 1989 una sentenza della magistratura stabilì che Zico non era un evasore fiscale e le nostre operazioni erano regolari».
Lei fece il dirigente anche l’anno della salvezza con De Sisti macchiata dalla maxi-penalizzazione...
«Una penalizzazione vergognosa. Fu condannata una squadra e non i suoi giocatori: come avremmo fatto a vendere le partite?».
Scusi, lei era in panchina. Ma la convinceva tutto di quelle partite in quegli anni?
«No. Ho sempre pensato che, se gli obiettivi sono gli stessi, due squadre possono anche non farsi del male...ma ho visto di peggio...Non mi faccia poi pensare agli arbitri: ci massacrarono. Agnolin butto fuori un giocatore del Como dopo una serie di duri falli. Bene...quell’arbitro, uno dei migliori di sempre, fu persino sospeso».
Sono arrivate altre età dell’oro dell’Udinese, pure la Champions...
«Pozzo ha commesso errori all’inizio, ma poi ha ottenuto risultati sul campo straordinari. E lo dico anche se la mia famiglia con i Pozzo ha avuto o ha in corso 39 cause giudiziarie per le note vicende».
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