“Sprecopoli” Ziac, le difese al giudice: "Il reato non esiste"

UDINE. Un processo penale sui presunti sprechi del Consorzio per lo sviluppo industriale della zona Aussa Corno rischia di trasformarsi in un inutile spreco, questo sì, di tempo e di denaro.
Parola dei difensori degli ex vertici della Ziac, accusati di malversazione ai danni dello Stato per quasi 11 milioni di euro in relazione all’acquisto di una serie di terreni a prezzi considerati fuori mercato, e dei consiglieri d’amministrazione che nel triennio 2008-2011 sedettero accanto a loro al tavolo decisionale e che hanno finito per essere trascinati a loro volta nell’inchiesta. La risposta si conoscerà venerdì prossimo, quando le parti torneranno davanti al gup del tribunale di Udine, Matteo Carlisi, per le repliche e il verdetto sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata per tutti dalla Procura.
«Un’imponente caccia investigativa al tesoro, che non ha portato ad alcun risultato di rilevanza penale». Così l’avvocato Maurizio Miculan - che nel procedimento assiste l’allora presidente Cesare Strisino - ha definito l’inchiesta, ricordando come si fosse partiti dall’ipotesi di «mazzette, poi mai trovate», di «una truffa aggravata, poi archiviata» e di «un abuso d’ufficio, finito nel nulla».
Nè risulterebbe sostenibile, a parere delle difese, «l’imputazione residuale della malversazione», trattandosi di reato contestabile «soltanto a chi è estraneo alla Pubblica amministrazione». Non, quindi, a Strisino e all’allora direttore Marzio Serena, difeso dall’avvocato Luca Ponti (che qui assiste anche Roberto Duz), e neppure agli altri sei imputati, visto che «il Consorzio è un ente pubblico economico» e che chi lo rappresentava era «quantomeno incaricato di pubblico servizio».
Non meno dirimente, secondo i legali, l’aspetto relativo alle disponibilità finanziarie della Ziac nel periodo finito sotto la lente della Guardia di finanza. Le indagini coordinate dai pm Viviana Del Tedesco e Marco Panzeri parlano di un utilizzo improprio di 10.910.481,93 euro dei 21.265.702,54 complessivamente ricevuti in sette anni (tra il 2002 e il 2009) dalla Regione.
Invece di adoperarli per il completamento e potenziamento di infrastrutture e attrezzature nell’ambito di Porto Nogaro, come previsto dai programmi “Piani Porti”, quella somma sarebbe servita ad acquistare le aree ex Oleificio, ex Montecatini ed ex Cogolo, ex Decof ed ex Radicifil, a prezzi sovrastimati e con tanto di accollo delle spese di bonifica.
«Dai bilanci – ha argomentato l’avvocato Miculan – si evince in maniera chiara e inequivocabile come nel 2011, quando il Cda uscì di scena, il patrimonio netto attivo del Consorzio era pari a oltre 21 milioni di euro, tra liquidità e crediti. Soldi sufficienti, quindi, a ripianare i 10,9 milioni asseritamente distratti».
Questioni «di fatto», cui il collega Ponti ha aggiunto quello «di diritto» relativo all’assenza della qualifica soggettiva del reato. «Trattandosi di un reato omissivo proprio – ha osservato –, la sua consumazione avrebbe dovuto avvenire nel giorno di scadenza della restituzione della somma in contestazione. Ma qui – ha aggiunto – la Regione non ha mai chiesto alcuna restituzione.
Nella ricostruzione accusatoria, inoltre, la condotta è fatta diventare commissiva. Cioè una cosa diversa». E visto che il periodo in esame copre un arco temporale molto esteso, è stato l’avvocato Giuseppe Campeis, difensore di Nicola Del Frate, a spingersi fino a invocare la prescrizione del reato. Oltre che a eccepire, insieme al collega Oliviero Comand, difensore di Ernesto Milan, la nullità stessa del capo d’imputazione «per indeterminatezza», non essendo state specificate singolarmente le operazioni contestate.
Nel procedimento, che vede coinvolti anche Pietro Del Frate (avvocato Roberto Pascolat), Vincenzo Spinelli (Renato Fusco) e Cristina Papparotto (Enrico Ambrosetti), il Consorzio - nella persona del commissario liquidatore Marco Pezzetta - si è costituito parte civile con l’avvocato Roberto Paviotti.
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