Software per evadere Al setaccio i “Peperino”

Nuovo filone d’inchiesta sulla catena di pizzerie “Peperino”, di proprietà dell’imprenditore Pietro Savarese. Ieri mattina la Guardia di finanza di Trieste e i carabinieri di Udine si sono presentati in via Coroneo per acquisire computer e documenti necessari a ricostruire il giro d’affari del ristoratore, marito dell’ex miss Italia Susanna Huckstep. L’intero materiale è sottoposto a sequestro, tanto più quello informatico, in cui sarebbe stato rintracciato un meccanismo in grado di “sdoppiare” la contabilità, come ritengono gli investigatori. Una lecita e l’altra in nero. Gli accertamenti sono in corso. A Udine “Peperino” ha un ristorante in via Zanon, a Pordenone in viale Martelli.
È una nuova tranche dell’inchiesta avviata dalla Procura di Trieste a carico del quarantasettenne di origini napoletane e del “gruppo Peperino” su cui si sospetta il reato di cosiddetto trasferimento fraudolento di valori e di riciclaggio. Sullo sfondo, come venuto a galla già a fine luglio, un possibile aggancio con la Camorra. Analoghe perquisizioni ieri sono state messe a segno in tutta Italia su ben 19 “obiettivi”, legati sostanzialmente alla ristorazione, sparsi tra Trieste, Udine, Verona, Pordenone, Milano, Napoli e Conegliano. E riferibili, in parte, alla holding dell’avvocato napoletano Nicola Taglialatela, la “mente” dell’impianto societario nel mirino della Procura della repubblica. È la Pikkius Hld srl alla quale fanno capo i locali di Savarese.
Ma il fiuto degli inquirenti sta scoperchiando un sistema più complesso che coinvolge una rete di imprenditori, anche in regione: chi mette il capitale, chi si occupa di aprire i locali, chi investe e fa lavorare altri o chi fornisce i dispositivi informatici per l’evasione fiscale. Dopo la prima fase dell’indagine che risale alla scorsa estate, ma scaturita nel 2014 dalla Direzione distrettuale antimafia di Trieste e poi passata nel maggio 2015 alla guardia di finanza e ai carabinieri, ora c’è di più.
La Procura, in un comunicato diffuso nella mattinata di ieri, parla apertamente di «metodo mafioso», un’aggravante apparsa a settembre quando il Tribunale del riesame si era espresso a favore dell’accusa formulata dal procuratore capo Carlo Mastelloni e dal pubblico ministero Federico Frezza. Di questo, insomma, si sta parlando. Ma non soltanto. L’inchiesta è proseguita, passo dopo passo, con nuovi elementi, «evidenze che richiedevano un approccio più analitico», fanno sapere nell’ambiente degli investigatori.
Durante le operazioni i militari della Guardia di finanza e dei carabinieri si sono accorti che le società sono riuscite a escogitare un modo per occultare «sistematicamente» buona parte dei ricavi giornalieri. Chi indaga ha validi elementi per ritenere che i gestori dei locali perquisiti, tra cui appunto il “Peperino” di Savarese a Trieste, usavano un apposito software installato nelle casse, un marchingegno capace di generare una doppia contabilità fiscale. Stando agli accertamenti, le entrate in nero si aggirerebbero attorno al 40 per cento dell’intero volume fatturato negli ultimi anni dalle pizzerie Peperino. Una maxi-evasione, non ancora quantificata, ottenuta con le consumazioni dei clienti ai tavoli. Un metodo, scrive la Procura, che ha contribuito all’espansione del gruppo sul territorio nazionale.
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