Snaidero, rottura tra fratelli sulla cessione

Dario rompe il silenzio e attacca Edi. No alla trattativa coi cinesi, sì alla ricerca di un partner che non voglia solo il marchio

MAJANO. Snaidero. Un nome di famiglia e un marchio di fabbrica. Legati fin qui a filo doppio. Domani, chissà. L’orizzonte dell’impresa che ha portato nel mondo le cucine prodotte a Majano è infatti più che mai affollato di pretendenti. Cinesi (e non) sono in lizza per accaparrarsi il marchio, leader internazionale nella produzione di cucine componibili, e interrompere la storia che da settant’anni fa di azienda e famiglia un tandem indissolubile.

La trattativa è oggetto di massima riservatezza da parte della governance ma se il presidente Edi Snaidero si trincera dietro a un “no comment”, non altrettanto fa suo fratello Dario. Il “pezzo” americano della famiglia, colui che alle cucine Snaidero ha conquistato il mercato Usa, in questi giorni è in Friuli e dopo anni di silenzio (e più d’un mal di pancia) ha deciso di rompere gli indugi. Parla, costretto a farlo, dice, dinanzi all’ipotesi di una cessione dell’azienda di famiglia ad altre mani, che ha per lui il sapore di un bivio senza ritorno.

Un bivio che Dario – anche a nome dei fratelli Elvia e Roberto – confessa di temere come l’anticamera della svendita del marchio e dei valori di famiglia. Da socio della Finsnaidero srl, società che controlla il gruppo, non lesina critiche a chi l’azienda l’ha guidata fino a oggi, ma al contempo non ne chiede un passo indietro, bensì uno avanti: «Per ricompattare la famiglia e restituire alla Snaidero la guida plurale che a Majano manca ormai da tempo. Prima che al futuro, gli abbiamo chiesto però di guardare al presente. Di raccontarci cosa sta accadendo in azienda. Specie per quanto riguarda il “mercato” delle acquisizioni».

Indiscrezioni di stampa danno due investitori cinesi e altrettanti fondi di private equity interessati ad acquisire l’azienda di famiglia. Corrisponde a verità?

«Il fatto che ci siano trattative in corso è vero. Siamo in un mondo globalizzato e questi eventi stanno avvenendo in molte aziende. Da parte mia, e di due miei fratelli, sono imprescindibili scopo, strategie future e non per ultimo friulanità dell’azienda».

L’opzione è cedere l’intero pacchetto o solo una quota di partecipazione?

«Uno dei nodi è la percentuale di partecipazione di questi investitori nell’azienda. Sarei d’accordo se questo servisse ad implementare gli investimenti futuri: purtroppo non è così. Vedo molta speculazione da parte di tutti gli interlocutori con cui stiamo parlando, ma soprattutto la ricerca di qualcuno che aiuti a coprire gli errori fatti. È notorio che se parliamo dei cinesi hanno molta liquidità, ma non possono competere in qualità, quindi per loro è facile acquistare marchi prestigiosi, come il nostro, ma poi il futuro per queste nostre aziende italiane basate sul family business, costruite con sacrifici e storia, non solo di famiglia, ma di un intero paese come Majano, dove vivono la maggior parte dei nostri dipendenti, ritengo debbano avere la giusta chiarezza per il futuro».

Qual è quindi la sua posizione rispetto al possibile ingresso di nuovi investitori nella compagine societaria?

«Sì all’immissione di capitali, ma salvaguardia dei valori storici e umani. Il successo della Snaidero è cresciuto grazie a prodotti di qualità e design. Non vorrei vedere la strategia passata cambiare ulteriormente solo per un prodotto di bassa qualità ad alta produttività».

Dopo anni di espansione, attuata con l’acquisizione di asset in Francia e Germania, Snaidero ha vissuto una battuta d’arresto. Colpa della contingenza economica o di errori gestionali?

«Qui arriviamo al punto dolente. In tutti questi anni c’è stata una direzione assolutistica ed ottusa. Uno solo decideva, uno solo deve assumersi le responsabilità di questa situazione. Due cose sole salvo oggi del gruppo: il marchio Snaidero, che fortunatamente ha ancora un ottimo appeal, e la sua tradizione. La crisi è partita dagli Stati Uniti e mi creda io l’ho vissuta appieno: abbiamo stretto i denti, tutti i collaboratori hanno fatto sacrifici, abbiamo cambiato strategia e ridimensionato i costi. Oggi stiamo lavorando molto bene e il prossimo futuro è molto incoraggiante».

Vale a dire?

«Siamo il primo importatore europeo di cucine in Nord America, non abbiamo perso alcun collaboratore e anzi, oggi siamo in aumento. Vantiamo un portafoglio ordini per i prossimi due anni di decine di milioni di dollari».

Il segreto?

«Un team di collaboratori che condivide con me tutte le strategie di mercato. Nel bene e nel male. Dico di più, molte altre aziende italiane hanno vissuto questa crisi e molte di queste oggi sono agguerrite, si sono rinnovate, hanno utili importanti. Questo è mancato in questi anni alla Snaidero di Majano che ha visto invece investimenti sbagliati, arroganza e mancanza totale di collaborazione e umiltà nell’ascoltare e poi decidere. Ripeto, la crisi c’è stata per tutti ma la grande maggioranza ne sta uscendo con entusiasmo».

Per rientrare da un’importante esposizione debitoria, i vertici dell’azienda hanno venduto il ramo franchising e portato a Majano la produzione della consociata tedesca Rational. La cura ha funzionato?

«Da quello che vedo, no assolutamente. Se avesse funzionato questa strategia parleremmo in altri termini».

Eppure i risultati economici sono positivi: +8 per cento del fatturato nel 2018, che balza sopra trenta all’estero...

«Se si aumenta il fatturato abbandonando l’unicità dei prodotti si va contro la storia che invece deve servirti da stimolo per essere sempre unico. Viceversa sei un perdente e i numeri parlano chiaro in quanto ti appiattisci su realtà molto diverse dalla nostra, che fanno delle loro strategie solo una questione di prezzo avendo una struttura diversa dalla Snaidero».

Quindi?

«Vivendo tanti anni in America, ho imparato ad essere molto pragmatico. Chi sbaglia paga. Non ci si può salvare svendendo il nostro patrimonio e facendosi scudo o dando responsabilità a fattori esterni. Ripeto: sì all’ingresso di capitale ma per migliorare, per investire sui mercati, non per salvare ripetuti investimenti sbagliati negli anni in assoluta autonomia. Io sono una persona positiva e vedo sempre in tutte le mie esperienze un’alternativa. Credo che nel nostro caso debba essere un’alternativa vincente. Anzitutto per la Snaidero, per evitare errori commessi in passato».

Chi sbaglia paga suona piuttosto perentorio. Sarà mica un invito rivolto all’attuale governance a dimettersi?

«Non mi aspetto un passo indietro. Mi aspetto anzi un passo avanti. E a questo punto dico cosa farei io: convocherei tutte le maestranze della Snaidero, i miei fratelli e per il bene della società e del marchio Snaidero chiederei di rimetterci tutti quanti assieme, perché la mia filosofia rimane una sola: l’unione fa la forza e, come dice sempre nostra madre, rimettiamoci nelle mani del Signore. Non è forte chi non cade mai, ma chi ha il coraggio, la forza e l’umiltà di rialzarsi».

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