«Serve un patto per il rilancio di Pordenone»

Il bilancio degli "stati generali" contro il declino del Friuli occidentale. Nulla è compromesso, ci sono ancora margini per la Prefettura. Giovedì vertice con Alfano

PORDENONE. Ci sono ancora margini di manovra per non perdere la prefettura e, a cascata, veder declassati i presidi delle forze dell’ordine. Ci sono ancora margini di manovra per mantenere la Provincia di Pordenone, almeno come identità territoriale.

Serve, però, un patto trasversale tra politica, economia e società. É quanto emerso dagli “stati generali” – 120 partecipanti, a disertare soprattutto esponenti di centro-destra – del Friuli occidentale.

«Compattezza e trasversalità per non restare privi di connotati», auspica il presidente della camera di commercio Giovanni Pavan, che sferza la classe politica: «Ora tocca a voi».

Anche in nome di quella medaglia d’oro che spicca nel gonfalone della Provincia, ricorda Michelangelo Agrusti, Unindustria, («non dimentichiamo i valori»), simbolo di una storia e di un’avventura nata proprio dalla determinazione degli imprenditori pordenonesi, negli anni Sessanta.

Bolzonello striglia le categorie: accusate, ma siete lì da 20 anni

Nel 1961 i lavoratori proclamarono addirittura uno sciopero generale per la Provincia di Pordenone, ha ricordato Arturo Pellizzon (Cisl). Provincia che, pezzo dopo pezzo, ora viene smontata. Ma qualcosa si può ancora salvare, pur non dimenticando, rileva il deputato Pd Giorgio Zanin, che «il clima attorno a noi è di segno contrario».

Dunque, la ricetta: per salvare la Provincia occorre che nessuno resti arroccato alla propria trincea, niente battaglie di campanile. «É inaccettabile che avvenga qui ciò che non avviene altrove», prosegue Zanin.

Lo dirà, giovedì, al ministro Alfano: «La spending review si faccia a Roma e non sul territorio». Auspica che «venga salvata la specialità del Friuli Venezia Giulia», Renzo Liva, e Isidoro Gottardo coglie la palla al balzo: «Se nasce l’area metropolitana a Est e Pordenone perde la prefettura, questa regione non esiste più. Negarlo vuol dire non capire nulla. Ed è drammatico, per chi fa politica».

FOTO MISSINATO - CONCORDIA STATI GENERALI
FOTO MISSINATO - CONCORDIA STATI GENERALI

Caso mai, «tenere 230 Comuni è una follia» e le Uti «non porteranno da nessuna parte». É ancora Gottardo a lanciare un colpo che fa male: «Il prossimo anno si vota anche per il Comune di Pordenone. Un Comune qualsiasi, non più il comune capoluogo».

É una sfilza di interventi, pro territorio della Destra Tagliamento: Giuliana Pigozzo (Cgil, «non dimenticate la concreta condizione quotidiana dei cittadini»), Roberto Zaami (Uil, «si è partiti con un metodo all’italiana, non si conosce il disegno finale»); ancora, Elio Ferrari, Antonio Di Bisceglie, Giuseppe Pedicini, Nicola Callegari, Francesca Papais, Manuel Giacomazzi.

Che succederà, dunque, alla provincia di Pordenone, adesso? «La Regione ha fatto capire che il gioco non è di forma», riassume Claudio Pedrotti, nella veste di presidente. La Regione vuole una camera di commercio unica. Primo tassello al suo posto. L’assetto istituzionale della Provincia. Il punto di forza della Destra Tagliamento è l’economia, come cinquant’anni fa, tanto che una legge regionale, precisa Sergio Bolzonello, ha promosso il rilancio delle imprese salvaguardando aspetti «specifici di questo territorio».

Ci vorranno dei veri e propri “stati generali”, per fare il punto della situazione. La prima pagina del libro è stata scritta, ieri al Concordia. Anche senza Provincia, «la Destra Tagliamento – ha concluso Pedrotti – continuerà a muoversi sul modello «partecipativo», valorizzando l’identità dei singoli territori, «che costituiscono un vantaggio».

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