Sequestro per 700 milioni, tre friulani indagati e quasi mille raggirati: tutto quello che c'è da sapere sulla truffa dei diamanti

Settecento milioni di euro e un migliaio di friulani abbindolati dalla "finanza emozionale". É questa la sintesi della truffa sui diamanti che ha portato il maxi sequestro delle Fiamme Gialle il 19 febbraio 2019 a Banco Bpm, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps e Banca Aletti. Le cinque banche sono finite al centro di un’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Riccardo Targetti e dal pm Grazia Colacicco su una presunta truffa sulla vendita di diamanti a investitori e risparmiatori. Nel mirino dei giudici, che procedono per truffa aggravata e continuata, ben 12 veneti e 3 friulani.
L'inchiesta: 68 indagati e 700 milioni sequestrati
Lo scandalo dei diamanti bidoni ha travolto gran parte delle regioni del Nordest e molti volti noti del mondo dello spettacolo tra cui Vasco Rossi e Federica Panicucci. Tra gli indagati, una settantina, figura anche il direttore generale di Banco Bpm Maurizio Faroni, che dovrà rispondere di truffa, autoriciclaggio e ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza. Indagati anche altri dirigenti della banca, oltre a responsabili delle due società Idb e Dpi che vendevano i preziosi agli investitori e che oggi sono state perquisite.
Sono invece tre i nomi friulani coinvolti nell'inchiesta: Pietro Gaspardo, dal 2011 responsabile pianificazione e marketing Retail di Bpm, Patrizia Springolo di Porcia e Francesco Rusin, di Aiello.
Tra i reati contestati, a vario titolo, anche quello di corruzione tra privati. Secondo l’accusa, le due società avrebbero fatto comprare i preziosi a istituti di credito e risparmiatori «gonfiandone» il valore, anche attraverso false quotazioni sui giornali. Le banche - che avrebbero avuto un ruolo di intermediazione con i clienti truffati erano al corrente del meccanismo.
In particolare, per l’ipotesi di truffa le Fiamme Gialle hanno sequestrato 149 milioni a Idb, di 165 milioni a Dpi, di 83,8 milioni a Banco Bpm e Banca Aletti, 32 milioni a Unicredit, 11 milioni a Intesa Sanpaolo e di 35,5 milioni a Mps. Per l’ipotesi di autoriciclaggio il sequestro è da 179 milioni per Idb e di 88 milioni per Dpi.
Nell’ottobre del 2016, i giornalisti di Report avevano confrontato i prezzi di listino dei diamanti venduti dalla Idb e dalla Dpi, a parità di carato, brillantezza e purezza, con le quotazioni di Rapaport, il listino internazionale dei diamanti riconosciuto in tutto il mondo. Era emerso che quelli venduti dalle due società nel mirino della Procura di Milano avevano un prezzo doppio rispetto agli altri.
L’Antitrust aveva verificato che chi li aveva acquistati e voleva rivenderli sul mercato rischiava di perderci e, per questo, era indotto a ricollocarli attraverso la stessa società che glieli aveva venduti, pagando però commissioni salate per il disinvestimento. Sempre stando all’Authority gli istituti di credito erano il principale canale per la vendita dei diamanti per entrambe le società di cui utilizzavano il materiale informativo per «piazzare» i preziosi ai clienti. Tesi condivisa anche dalla Procura che alle banche indagate attribuisce un fondamentale ruolo di intermediazione con i clienti raggirati.
Le cassette di sicurezza. Spesso le cinque banche indagate nell’inchiesta della Procura di Milano sulla presunta truffa sulla vendita di diamanti venivano «incentivate» nel proporre i preziosi «dalle alte provvigioni che le due società» Idb e Dpi «riconoscevano loro», ma anche dalla «fidelizzazione» dei clienti «che spesso compravano le cassette di sicurezza per conservare in deposito i diamanti».
Lo scrive il pm Grazia Colacicco nella richiesta di sequestro, riportata nelle 83 pagine del decreto firmato dal gip Natalia Imarisio. I clienti, si legge nelle carte, «spesso compravano le cassette di sicurezza per conservare in deposito i diamanti», che erano «pietre il cui godimento di fatto non era possibile, giacché venivano vendute in blister con certificati di garanzia. Una volta aperte, ad esempio per farle incastonare, perdevano il loro valore nominale e non potevano più essere rivendute attraverso il circuito bancario, con la conseguente perdita del rendimento garantito».
E la banca incassa. I margini di guadagno per gli istituti di credito, secondo gli inquirenti, erano ingenti ed «è evidente come le banche abbiano irrobustito i propri bilanci» tra il 2012 e il 2016 «grazie alle commissioni incassate dalla vendita di diamanti da investimento, notevolmente superiori ai rendimenti garantiti dalla commercializzazione di altri prodotti finanziari in una fase di difficile congiuntura economica, che si aggiravano all’1-2%». Di commissioni a doppia cifra hanno parlato anche due ex direttori di filiale di Banco Bpm e UniCredit. Il primo, in servizio fino al 2014, ha riferito che «la filiale che dirigeva percepiva una commissione di 15% del controvalore acquistato dal cliente. Questa forma di investimento - ha aggiunto - è andata molto in quel periodo in quanto il rendimento delle altre forme di investimento era all’epoca piuttosto basso, aggirandosi circa sull’1-2%».
ll manager Unicredit, invece, ha raccontato che «la banca aveva un ritorno del 18%» dalla vendita di diamanti e che «si trattava di un prodotto ad alta redditività per la banca in quanto presentavano marginalità maggiori, rispetto ad altri prodotti finanziari proposti in filiale», come «le obbligazioni bancarie estere, in dollari, della durata dì almeno 5 anni» che andavano per la maggiore, sulle quali la banca aveva al massimo un ritorno del 2% mentre con i preziosi era «nove volte maggiore».
Le provvigioni connesse alla vendita dei diamanti da investimento da parte del Banco Bpm e della partecipata Banca Alletti «in ragione dei vari accordi di collaborazione sottoscritti con Idb» sono passate dal 5% del 1984 al 24,5% del 2016, mentre quelle corrisposte a «Unicredit sono a aumentate dal 10% al 20%, per attestarsi al 18%».
Dpi, inoltre, versava a Mps commissioni che sono passate «dal 10% del maggio 2012 al 18% a febbraio 2017», mentre quelle per Intesa Sanpaolo «risultano pari al 12% ed sono rimaste invariate». In cambio, i dirigenti ricevevano come ringraziamento dalle società che vendevano i preziosi viaggi e oggetti di archeologia.
Benefit ai dirigenti. Le banche, sottolinea ancora il gip, guadagnavano anche per i «benefit personali riconosciuti ai dirigenti più alti» in relazione alle vendite che andavano a buon fine. Dagli atti, inoltre, emerge anche che «l’effettivo valore delle pietre truffaldinamente vendute» si aggirava «tra il 30 e il 50% del prezzo pagato» dai clienti e «in taluni casi» era «solo il 20%» e «di conseguenza, sempre più che prudenzialmente, il pm ha considerato, quale misura media di valore, il 50% del prezzo pagato».
La Gdf «ha quantificato i regali che la società Idb ha fatto ai vertici delle banche, per un valore pari ad almeno 99.090.49 euro, tra soggiorni presso strutture alberghiere, oggetti di archeologia». Nel pc di uno dei dirigenti di Idb, inoltre, le Fiamme gialle hanno trovato «una serie di elenchi di nominativi e una serie di mail aventi ad oggetto i soggiorni presso strutture alberghiere» tra il 2012 e il 2016 e molti avrebbero ricevuto manufatti archeologici in regalo. «La Gdf - scrive ancora il giudice - è pertanto riuscita a individuare in modo puntuale tutti i dirigenti e funzionari di banca che hanno beneficiato di voucher regalo erogati dalla società, del valore tra 845 e 950 euro cadauno nonché i beneficiari dei regali archeologici».
Potrebbero essere un migliaio i friulani che dal 2003 a oggi sono stati convinti a comperare diamanti attraverso quella che gli addetti ai lavori chiamavano “finanza emozionale”. Perché? Perché rispetto a un bond argentino o un’azione Parmalat, l’emozione di stringere tra le mani una pietra preziosa non ha eguali. Per questo, alla truffa dei diamanti in Italia ci hanno creduto almeno in 40mila. Principalmente si tratta di quei clienti considerati i più affidabili dalle banche, quelli che cercavano sempre investimenti a bassissimo rischio.
Le testimonianze degli investitori raggirati, individuati dalla Gdf milanese, sono riassunte negli atti dell'inchiesta della Procura di Milano. I clienti hanno spiegato che erano i dipendenti degli istituti bancari coinvolti a proporre loro «di acquistare i diamanti, fornendo una serie di informazione false e fuorvianti sulla natura e sulle caratteristiche dell'investimento».
E l'acquisto dei diamanti «veniva proposto e non solo segnalato, a volte in modo insistente, occupandosi il bancario in prima persona», e «su precise direttive interne», delle trattative che si svolgevano di solito nelle filiali. In alcuni casi, poi, è emerso che «sono stati i funzionari delle banche a contattare direttamente» i clienti per «indurli ad investire» nelle pietre preziose, anche spingendoli a disinvestire dagli investimenti che avevano già in corso e a comprare diamanti.
Nell'indagine figura tra gli indagati anche l'ad di Banca Aletti, Maurizio Zancanaro, assieme a molti funzionari e direttori di filiali delle banche coinvolte nella presunta truffa che avrebbe riguardato in realtà «decine di migliaia di risparmiatori-clienti» delle banche. E le due società che vendevano i diamanti, Idb e Dpi, si legge ancora negli atti, si erano «di fatto spartite le banche»: Banco Bpm e Unicredit «collaboravano» con Idb, Intesa e Mps con Dpi. Le brochure che pubblicizzavano gli acquisti erano sparse all'interno «di migliaia di filiali bancarie».
Ben prima del clamoroso sequestro preventivo operato dalla procura di Milano, precisamente il 30 ottobre 2017, era stata la AGCM ovvero l’authority garante della concorrenza e del mercato, a dare un primo scossone al sistema, parlando esplicitamente di “consumatori ingannati” e comminando multe per 15 milioni di euro a carico di IDB, DPI e delle banche
A questo link trovate il testo completo del doppio provvedimento, differenziato tra IDB e DPI con i relativi accordi bancari.
Bene rifugio. Un passaggio del provvedimento: “L’Autorità ha accertato che gli istituti di credito, principale canale di vendita dei diamanti per entrambe le imprese, utilizzando il materiale informativo predisposto da IDB e DPI, proponevano l’investimento a una specifica fascia della propria clientela interessata all’acquisto dei diamanti come un bene rifugio e a diversificare i propri investimenti. Secondo l’Autorità il fatto che l’investimento fosse proposto da parte del personale bancario e la presenza del personale bancario agli incontri tra i due professionisti e i clienti, forniva ampia credibilità alle informazioni contenute nel materiale promozionale delle due società, determinando molti consumatori all’acquisto senza effettuare ulteriori accertamenti”.
Truffati eccellenti. Sarebbero almeno 120 i vip raggirati, al pari di altre decine di migliaia di risparmiatori. Tra loro Vasco Rossi, Simona Tagli, Federica Panicucci e l'industriale Diana Bracco. Fu il Banco Popolare, poi diventato Banco Bpm dopo la fusione, a proporre a Vasco Rossi l'acquisto di diamanti a prezzi gonfiati e la rockstar avrebbe versato con tre bonifici il 20 luglio 2009, il 22 marzo 2010 e il 14 ottobre 2011, rispettivamente 1,043 milioni di euro, 520 mila euro e poco più di un milione.
L’attrice Simona Tagli ha raccontato: «Quando ho comprato i diamanti, e voglio precisare che sono spericolata ma non incauta, se fosse venuto da me un rappresentante di diamanti della Ddi io avrei sicuramente detto di no, avrei odorato qualcosa di poco chiaro. Essendoci stata questa autorevole presentazione del direttore della banca, però, ho tenuto in considerazione la possibilità di acquistare il diamante da investimento come se fosse un’obbligazione».
Le banche coinvolte nell'inchiesta
All'indomani del sequestro preventivo, quattro istituti su cinque hanno consegnato note stampa in cui ribadivano la propria posizione.
UNICREDIT. “UniCredit per propria policy non commenta i procedimenti in corso. UniCredit collaborerà con le autorità competenti e continuerà a offrire servizi di assistenza ai clienti interessati. L'iniziativa avviata già nel corso dello scorso anno prevede il riacquisto delle pietre dai clienti al valore a suo tempo pagato». Lo afferma un portavoce di Unicredit.
INTESA SANPAOLO. “L’istituto sta collaborando con la magistratura per chiarire la correttezza del proprio operato” dice un portavoce di Intesa Sanpaolo. «La Banca - aggiunge - ricorda di aver inviato, oltre un anno fa, a tutti i clienti interessati dalla vicenda una lettera in cui dichiarava la propria disponibilità a riacquistare i diamanti allo stesso prezzo pagato originariamente. Ad oggi il 60% circa dei clienti ha richiesto ed ottenuto la rivendita dei diamanti».
MPS. Mps proseguirà come fa «da mesi» nel rimborso «al 100%» per i clienti rimasti coinvolti dalla presunta truffa sui diamanti. Lo afferma la presidente di Rocca Salimbeni, Stefania Bariatti, a margine dell’esecutivo Abi. «Noi ci siamo difesi davanti all’Antitrust - spiega Bariatti -, siamo stati sanzionati e non abbiamo impugnato la decisione dell’autorità. Adesso stiamo leggendo le carte, siamo già partiti da mesi, anche se forse la stampa non se n’è accorta e nemmeno qualche associazione dei consumatori, rimborsando al 100% i consumatori». «Quindi - conclude la presidente di Mps - continuiamo in questo rimborso. Leggiamo le carte e vediamo cosa ci viene notificato».
BPM. Banco Bpm sottolinea in una nota che «le operazioni di sequestro preventivo si riferiscono all'attività di segnalazione a IDB della clientela interessata all'acquisto di diamanti nel periodo che va dal 2003 al 2016 e dunque prima della data della fusione tra Banco Popolare e Bpm». L’istituto, così come comunicato in occasione dei risultati di fine anno, in concomitanza con il fallimento di IDB (dichiarato dal Tribunale di Milano il 10 gennaio) ha deliberato «adeguati accantonamenti nel bilancio 2018 necessari a presidiare i rischi potenziali connessi alle vertenze e alle conseguenze di tale accadimento a tutela dei propri clienti, con i quali la banca già da mesi ha in corso la definizione di numerosi casi molti dei quali già risolti».
Il fronte dei consumatori
Ecco la posizione e i consigli di alcune tra le associazioni consumatori interessate al caso, più alcune prese di posizione sindacali e di categoria.
CODACONS. Sul proprio sito il Codacons il modulo per chiedere alle banche e alle società coinvolte il rimborso dei soldi versati, oltre al risarcimento del danno subito. Tutti i risparmiatori che hanno acquistato diamanti presso banche e operatori oggetto di inchiesta da parte della Procura di Milano possono, attraverso il Codacons, tutelare la propria posizione, chiedere il rimborso integrale degli investimenti e avviate l'iter per la costituzione di parte civile in caso di eventuale processo per il risarcimento dei danni subiti, da calcolare in relazione ai rendimenti che avrebbero determinato altri titoli nel periodo di detenzione dei diamanti - spiega l'associazione - È sufficiente seguire le istruzioni riportate sul sito del Codacons a questa pagina.
Con tale azione, inoltre, l'associazione offre anche assistenza legale a tutti coloro che intendano denunciare la propria banca perché ritengono di essere stati truffati, investitori che possono inviare la documentazione relativa all'acquisto dei diamanti e ottenere una denuncia penale personalizzata.
Il Codacons promette una class-action e chiede prioritariamente l’iscrizione alla sua associazione (al costo di 2,03 euro) promettendo questo:
- verrai informato circa gli sviluppi del procedimento penale, in modo da poter decidere se costituirti parte civile con il Codacons in caso di rinvio a giudizio;
- verrai informato sul tavolo di conciliazione con le banche, per poter essere assistito nella procedura per ottenere il risarcimento del danno da parte di queste;
- riceverai gratuitamente il modulo per la richiesta di restituzione dei diamanti.
FEDERCONTRIBUENTI. «Dopo ben 8 anni di lotta, finalmente sono stati ascoltati i nostri appelli e le nostre denunce e viene premiata la tenacia e l'onestà che come Federcontribuenti abbiamo messo a disposizione dei consumatori truffati da questa vera e propria rapina». Così il Presidente di Federcontribuenti Marco Paccagnella. Federcontribuenti spiega come il business dei diamanti nasce con l'esigenza di nascondere al fisco ingenti patrimoni in un vero bene rifugio.
«Il commercio e soprattutto l'andamento dei prezzi - spiega Paccagnella - non ha nascosto la speculazione a cui è giunto oggi: sono stati analizzati i corsi dei diamanti da un carato e si passa dai 29.800 euro del 2002 ai 50mila del 2017 - per la stessa pietra di stesso colore, purezza, taglio e naturalmente peso. Solo a seguito di numerose nostre denunce e di una inchiesta di Report la Consob si è finalmente mossa in collaborazione con Bankitalia e Antitrust; mentre la Procura di Milano indaga per truffa. I prezzi al commercio applicati in banca gonfiati anche perché comprensivi della commissione fino al 20% previsto alla banca. Si aggiunga l'Iva (22%) a carico del risparmiatore ed ecco che l'investimento iniziale, per il solo impatto di imposte e commissioni di vendita, è già tagliato del 40%. Informazioni tenute ben nascoste al consumatore e correntista».
ADICO. “Come evidenziato per la vicenda delle banche popolari venete – spiega il presidente Carlo Garofolini – anche in questi casi contestiamo alla banca di non aver agito con la dovuta diligenza, correttezza e trasparenza. Se le persone che si sono rivolte a noi avessero conosciuto le reali condizioni dell’investimento, non avrebbe mai accettato il contratto. Per questo chiediamo la nullità o l’annullamento dell’investimento o il risarcimento del danno pari all’importo versato. In ogni caso anche questa vicenda, come quella delle banche popolari, dei buoni fruttiferi, del fondo Obelisco e molte altre ancora, danno ragione a quelle famiglie che decidono di tenere i soldi fermi senza investirli dato che ogni prodotto finanziario risulta rischiosissimo e quindi sconveniente”.
UILCA/UIL. La Uilca segue con «grande preoccupazione» la vicenda della vendita di diamanti. «Non sarà accettabile alcun eventuale tentativo delle aziende in questione di scaricare l'onere economico determinato dal sequestro e dal risarcimento di investitori e risparmiatori sulle lavoratrici e sui lavoratori, come un qualsiasi inserimento di questa vicenda nel confronto di rinnovo del Contratto Nazionale» si legge in una nota del sindacato affiliato alla Uil. La vicenda, ricorda la Uilca, è frutto «di scelte commerciali effettuate da top management» con l'obiettivo di «massimizzazione del profitto a breve termine, con metodi spregiudicati, di cui sono parte integrante quelle vessatorie e improprie pressioni alla vendita che da anni denunciamo come Organizzazioni Sindacali».
FABI. «Sulla vicenda diamanti bisogna andare fino in fondo perché come categoria siamo stufi di prenderci colpe e responsabilità che non sono dei dipendenti. Reagiremo con ogni mezzo a disposizione». Lo dichiara il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni.
ASSOORAFI. «Da otto anni ormai le nostre organizzazioni segnalavano, senza essere ascoltate, che la vendita dei diamanti da parte degli istituti bancari era un'attività anomala e nel 2016, la nostra federazione nazionale aveva riportato di nuovo il problema all'attenzione delle autorità preposte. In questi anni le banche hanno proposto un prodotto non finanziario, senza le autorizzazioni e abbiamo sollecitato Consob, Banca d'Italia e questure preposte al rilascio delle licenze per il commercio di preziosi». Lo affermano il presidente di Assorafi Confcommercio Palermo Silvano Barraja e il vice presidente Salvo Ciulla.
Le trattative e le prospettive per i truffati, in sintesi
Le banche. Atteggiamenti diversificati. C’è chi sta trattando la restituzione integrale degli importi investiti e chi, come Banco Bpm, tratta su percentuali largamente inferiori all’investimento.
I consumatori. Le associazioni di consumatori promettono tutela legale ai consumatori vittime del raggiro con modalità tutto sommato simili.
Gli studi legali. Diversi studi legali stanno promettendo su internet una tutela legale che consenta di recuperare perlomeno la cifra spesa per l’acquisto. Un esempio su tutti a questo link
La trattativa diretta. I clienti che se la sentono, possono ovviamente trattare con la propria banca senza bisogno di mediazioni. Certo, è probabile che i vertici dell’istituto si siano dati una scaletta di priorità da accogliere, ovvero che siano disposte a rimborsare celermente i clienti business più che i “semplici risparmiatori”. Chi ha trattato da solo ha dovuto sottoscrivere una manleva in cambio della restituzione dell’importo complessivamente speso, con clausola di riservatezza. Poi ha riconsegnato i diamanti nei blister ancora chiusi (altrimenti, ha dovuto riblisterare a sue spese, procedura onerosa) e si è visto accreditare sul proprio conto corrente la somma iniziale, entro due settimane lavorative.
Class action. Ne sentire parlare a piè sospinto, soprattutto da parte di una associazione di consumatori che la blandisce come arma letale, la madre di tutte le soluzioni. Ma è un abbaglio. Perché la legge italiana sulla class action la rende di fatto quasi inapplicabile. Qui una lettura consigliata
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