Sempre meno osterie storiche, così si perde un pezzo di tradizione

UDINE. C’era una volta l’osteria. Quel luogo d’incontro fatto di tavoli e sedie tutte uguali, modesto, genuino, qualche volta buio, anche un po’ fumoso. Quel luogo in cui la chiacchiera schietta, frivola e sagace e una filosofia semplice si accompagnano a un “bon tajut”, dove il pettegolezzo prende vita e si commenta il fatto politico del giorno.
Quattro mura che racchiudono la storia e la tradizione friulana e che stanno scomparendo.
Le osterie storiche diminuiscono giorno dopo giorno, mentre nonostante aumenti la qualità di quelle che abbinano la cucina tipica, si diffondono wine-bar e luoghi dove si mangia lo “street food”. Lo dice lo stesso Comitato friulano per la difesa delle osterie che nel 2014 ha compiuto 30 anni e oggi come allora, assicura il presidente in carica Enzo Driussi, giura eterna fedeltà al buon vino - biglietto da visita per eccellenza di un esercizio - e all’atmosfera che si respira in questi luoghi di aggregazione, custodi di memorie e patrimonio storico della tradizione del Friuli.
«Le vecchie osterie soffrono e stanno scomparendo, quelle che aderiscono al nostro comitato, nelle province di Udine, Pordenone e Gorizia, sono oggi una trentina. Fluttuanti. Alcune si aggiungono, altre se ne vanno, ma sono sempre meno quelle che restano», spiega Enzo Driussi. Un calo significativo se si considera che solo qualche anno fa erano circa una cinquantina.
«La crisi è evidente e coincide con le nostre difficoltà come comitato - aggiunge il presidente - passato da un direttivo di venti persone a neanche una decina ma, anche se in tono ridotto, portiamo avanti il nostro “mandato”, difendendo il buon bere e il mangiare all’antica».
Cambiano usi e costumi delle persone, si trasformano le generazioni e ci sono “troppe norme fiscali e igieniche” a detta del presidente, che ricorda con malinconia gli anni in cui a Udine, le osterie una dopo l’altra si sono “stancate” e hanno chiuso piano piano i battenti. E pensare che il capoluogo friulano di osterie e locande nel 1569 ne contava 43, che nel 1812 erano salite a 150 e nel 1935 a 153, ma negli anni Cinquanta del secolo scorso si erano già ridotte a un centinaio.
I Piombi, Il Lepre, Lì di Almute a Blessano si sono spenti, hanno sentito la crisi, certo, e «non è semplice rispondere - assicura il presidente - perché tra i nostri iscritti avviene un turnover naturale e noi del direttivo, nato da un gruppo di amici, siamo sempre meno, anche se non ci arrendiamo».
Altri tempi ora, altri ritmi, anche se tra i giovani, dice Driussi, «un bicchiere di vino è tornato di moda e le osterie i ragazzi le frequentano». Nemmeno il caso Sauvignon è stato poi digerito troppo bene, in attesa che la Magistratura si pronunci si perde la fiducia e la credibilità in un prodotto e nell’immagine di un’azienda. Nel loro quartier generale, “Il vecchio stallo”, i fondatori si incontrano e danno continuità non solo alla rivista “L’osteria friulana”, ma partecipano a rassegne enogastronomiche, congressi e convegni.
Disseminate nel cuore del centro storico, negli angoli più remoti del Friuli. Lì dove «il tessuto sociale della città trae linfa» si legge nello statuto, tra un “tajut” che stuzzica l’appetito e scioglie la chiacchiera, l’Udinese, una partita a briscola e il tepore del “fogôlar”, in osteria continua a vivere un pezzo di storia. Da difendere con orgoglio.
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