Sanità, esodo friulano in Veneto e le cure le paga la Regione

UDINE. Decine di friulani in Veneto per curare il dolore cronico. E intanto, paga la Regione Friuli Venezia Giulia. Da quando la giunta regionale il 5 febbraio 2016 ha deliberato la rete di terapia del dolore escludendo i privati convenzionati dai centri Hub and Spoke, limitati alle sole strutture pubbliche, i friulani stanno emigrando in Veneto per i trattamenti.
Una ventina quelli che si sono già sottoposti a interventi a Monastier o a San Donà di Piave e una quarantina quelli in lista di attesa. Persone affette da dolore cronico in forma di mal di schiena, o mal di testa dovuti a neuropatie invalidanti di tipo non oncologico e lombosciatalgie.
Il costo dei trattamenti, che vanno dalle semplici infiltrazioni alla radiofrequenza pulsata, all’elettrostimolazione, oscilla da un minimo di qualche centinaio di euro a un massimo di settemila, costi che la sanità friulana deve comunque sostenere rifondendo le spese alla Regione Veneto.
Fino a poco più di un mese fa quei pazienti ricorrevamo al Città di Udine, dove i ricoveri sono stati sospesi in via prudenziale. L’unico altro centro che si era dotato di un’équipe dedicata era a Trieste, che pure ha cessato i ricoveri.
Alla Casa di cura di Udine lo scorso anno, fa sapere l’ad Claudio Riccobon, sono stati effettuati oltre 200 interventi e seguiti una quarantina di malati la settimana. I pazienti che erano in trattamento alla Casa di Cura Città di Udine si stanno riunendo in un comitato e hanno iniziato a sporgere reclami, già una ventina quelli pervenuti alla struttura, la quale sta elaborando un’informativa che sarà inviata alla Regione.
Fra loro c’è Giuseppe Sapia, udinese di 65 anni, costretto a emigrare in Veneto per curarsi.
«Mio marito è un militare in pensione – spiega la moglie Luciana – che ha alcuni problemi di salute. Da un anno, in seguito a una neuropatia, ha iniziato ad accusare dolori alla schiena che gli impedivano anche di camminare».
«Abbiamo vagato - prosegue - da un ambulatorio all’altro sperimentando vari trattamenti, abbiamo atteso sei mesi per una visita all’Unità spinale dell’ospedale di Udine. Dopo aver sperimentato infiltrazioni, ozonoterapia, inutilmente – racconta –, abbiamo sentito parlare dei trattamenti che venivano effettuati alla Casa di cura Città di Udine e ci siamo andati».
«Lì abbiamo trovato persone - continua - che venivano dalla Puglia, dalla Sicilia, dal Veneto, e in poco tempo mio marito ha cominciato a stare meglio, finchè si è profilata la possibilità di ricorrere all’elettrostimolazione. Ma quando ci siamo presentati all’ambulatorio ci hanno detto che gli interventi erano stati sospesi e che per sottoporci al trattamento dovevamo andare in Veneto».
«Siamo stati costretti ad andare a Monastier, dove un’équipe della Casa di cura Città di Udine continua a operare. Tanti altri hanno dovuto fare come noi. Ma com’è possibile – si interroga la signora – che in Friuli si taglino le spese per curare la sofferenza delle persone e poi si paghino i conti a un’altra regione?».
E sull’argomento la giunta Serracchiani sarà chiamata a rispondere a un’interrogazione presentata dal consigliere regionale Pdl Roberto Novelli.
Il documento spiega che «con la delibera 165/16 la giunta regionale ha stabilito che la rete di terapia del dolore sarà costituita da centri Hub e Spoke limitando l’offerta alle sole strutture pubbliche ed escludendo anche i privati già operanti nel settore».
Novelli segnala però che «non è dato sapere, visto il blocco delle assunzioni, quando e in che modo le strutture di Udine, Pordenone e Trieste potranno usufruire delle necessarie dotazioni – e precisa - che i tempi di attesa sono tali (sei mesi per una prima visita per il dolore cronico all’Hub Santa Maria della Misericordia di Udine) da indurre i pazienti a cercare altri erogatori per rispondere ai propri bisogni di salute».
«Vi sono – aggiunge Novelli – già decine di pazienti che hanno scelto, non trovando risposte in loco, di recarsi in Veneto», con questi presupposti Novelli sollecita una soluzione e chiede perché siano state escluse strutture che non costavano un euro in più rispetto al solo rimborso delle prestazioni rese creando «un danno per i pazienti e per le finanze locali».
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