Sanaa, il padre che l’ha uccisa potrà evitare l’ergastolo

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PORDENONE.
El Ketaoui Dafani, il 45enne cuoco marocchino accusato di avere ucciso la figlia Sanaa, 19 anni, il 15 settembre scorso a Grizzo di Montereale Valcellina, non sconterà l’ergastolo. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Pordenone, Patrizia Botteri, dopo cinque ore di camera di consiglio ha accolto la richiesta avanzata dai difensori, Leone Bellio e Marco Borella, di giudizio con rito abbreviato per il loro assistito, ma ha respinto la richiesta di rito abbreviato condizionato all’esito di una perizia di parte.


Questo significa che, anche con il bilanciamento tra aggravanti e attenuanti, e in presenza di una ipotetita condanna, oltre che per omicidio pluriaggravato, anche per lesioni aggravate e continuate e porto ingiustificato di arma da taglio (i reati contestati dal pubblico ministero Maria Grazia Zaina nel capo d’imputazione), Dafani – se condannato – non sconterà l’ergastolo, potendo beneficiare dello sconto automatico di un terzo della pena per effetto del rito abbreviato semplice, con la possibilità di vedersi inflitta una condanna massima a 30 anni di reclusione. La prima udienza del processo è stata fissata per il 14 giugno alle 9.


Il pubblico ministero aveva chiesto il rito immediato. La difesa, tuttavia, aveva il diritto di potere accedere a riti alternativi: da qui la richiesta del rito abbreviato condizionato alla consulenza psichiatrico-forense consegnata al gip. La stessa attestava che al momento del delitto El Ketaoui Dafani era capace di intendere e volere, che la sua azione violenta aveva preso le mosse da motivazioni passionali, e quindi non era compatibile con la premeditazione (aggravante che viene contestata dalla procura), bensì con un raptus. Il giudice ha ritenuto che la perizia non sarebbe decisiva per la sentenza e quindi ha respinto la richiesta di rito abbreviato condizionato, concedendo il rito abbreviato semplice, che sarà celebrato a Pordenone e a porte chiuse. Viene così annullato il rito immediato che era stato fissato per il 27 settembre in Corte d’assise a Udine.


Accolte anche cinque istanze di costituzione di parte civile. La difesa aveva sollevato eccezioni di forma (come il fax firmato dal sottosegretario Gianni Letta per l’avvocatura dello Stato) e di sostanza: il delitto non ha sfondi religiosi. Lo Stato, con l’avvocato Marco Meloni replica: «Il padre è stato giustiziere e giudice, non è ammissibile». La Regione (avvocato Mauro Cossina) aveva annuciato la possibilità di costituirsi parte civile, ma non l’aveva formalizzata con una delibera. La Provincia (avvocato Cristiana Rigo) non aveva lesioni di interesse. Eccezioni respinte.


Sanaa Dafani venne sgozzata dal padre che ferì anche il suo fidanzato, Massimo De Biasio, 32 anni, che inutilmente cercò di salvarla dalla furia del genitore. Dafani, in carcere a Pordenone e non più in isolamento tanto che segue dei corsi riabilitativi e formativi nella casa circondariale, ieri non era in aula: prostrato per quanto commesso, ha preferito evitare i riflettori mediatici. Deve rispondere di omicidio volontario aggravato dai vincoli di parentela e di lesioni gravi ai danni del fidanzato di Sanaa. Con il rito abbreviato semplice potrà ora sperare in uno sconto di pena, ma non in una perizia psichiatrica su eventuali attenuanti. La battaglia legale verterà sul riconoscimento o meno dell’aggravante della premeditazione.


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