Safilo, nessun passo indietro dell'azienda: 700 esuberi e Martignacco verrà chiusa

ROMA. «Non procedere ad azioni unilaterali nei confronti dei lavoratori e avviare un confronto con le parti sociali per discutere i dettagli del piano industriale». Lo ha detto il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, che al Mise ha presieduto il tavolo di crisi sul Gruppo Safilo con ministero del Lavoro, Regione Friuli Venezia Giulia, comuni coinvolti, azienda e sindacati. Successivamente, ha sottolineato Patuanelli, «sarà possibile individuare tutti gli strumenti a disposizione sia del ministero che delle Regioni per supportare il rilancio produttivo dell'azienda, puntando anche sugli investimenti in campo tecnologico e digitale».
L'obiettivo finale, ha aggiunto, «dovrà essere quello di un piano industriale che non si basi solo sulla razionalizzazione dei costi ma abbia una prospettiva di sviluppo in grado di salvaguardare i siti produttivi e i lavoratori». Da parte della proprietà, si legge in una nota, è stato ribadito quanto annunciato lo scorso 10 dicembre in merito alla riorganizzazione e ristrutturazione del Gruppo, che coinvolge 700 lavoratori e prevede la chiusura dello stabilimento friulano di Martignacco. Il management dell'azienda ha inoltre informato di aver già dato mandato ad un advisor di verificare la presenza di possibili nuovi investitori interessati al sito di Martignacco.
I sindacati: "Solo conferme: ci saranno 700 esuberi". «L'incontro al Mise con i rappresentanti del Gruppo Safilo è servito, purtroppo, solo ad avere la conferma del Gruppo circa i 700 esuberi, già annunciati nel mese scorso. Da parte nostra ribadiamo la volontà di proseguire il tavolo di confronto con l'azienda, e di prendere tempo per evitare decisioni affrettate e sbagliate. Non possiamo però che stigmatizzare l'assenza all'incontro dell'amministratore delegato Angelo Trocchia: in momenti delicati e complessi come questi è necessario un coinvolgimento della società ai massimi livelli».
Lo dichiarano le segreterie nazionali di Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil. «Nel corso dell'incontro - proseguono i sindacati - abbiamo apprezzato le dichiarazioni del ministro Stefano Patuanelli, che ha annunciato l'avvio di un confronto a livello nazionale della vertenza, oggi invece circoscritta al Friuli Venezia Giulia, regione che più delle altre pagherà il prezzo degli esuberi.
Patuanelli, inoltre, ha preteso la verifica punto per punto del Piano industriale, impegnando lo stesso Mise. Dei 700 esuberi 250 interessano la totalità dei dipendenti dello stabilimento di Martignacco, che quindi è destinato a cessare l'attività, mentre altri 50 esuberi sono previsti a Padova e 400 nello stabilimento di Longarone (Belluno). Il piano industriale di Safilo - sottolineano i sindacati - rappresenta lacune sulla sostenibilità industriale dell'intero sistema, e impone l'approfondimento dei termini della gestione e dei piani di sviluppo anche in forme differenziate nei diversi siti produttivi.
La Regione: "No a patti unilaterali". «La Regione è al fianco dei lavoratori di Safilo e condivide, al fine di garantire la maggior tutela alle 226 persone assunte nello stabilimento di Martignacco, la richiesta delle organizzazioni sindacali di fare ricorso ai contratti di solidarietà in luogo della cassa integrazione straordinaria (Cigs) proposta dalla proprietà».
Lo ha ribadito l'assessore alle Attività Produttive, Sergio Emidio Bini, intervenendo questo pomeriggio al tavolo convocato a Roma dal ministero dello Sviluppo Economico - alla presenza del ministro Patuanelli, dell'azienda e delle organizzazioni sindacali - per affrontare la crisi della società padovana con sedi in Veneto e in Friuli Venezia Giulia. L'amministrazione regionale, ha aggiunto Bini, «sollecita inoltre un confronto permanente tra tutti i soggetti interessati con l'obiettivo di scongiurare l'adozione di decisioni unilaterali che possano precludere l'individuazione di percorsi condivisi a soluzione della crisi».
Il piano aziendale approvato il 10 dicembre scorso, ricorda una nota, prevede la riduzione di 700 unità di forza lavoro, portando alla chiusura dell'impianto friulano e a consistenti riduzioni di personale nelle altre due fabbriche. «Il Friuli Venezia Giulia sta vivendo un dramma - ha sottolineato ancora Bini - che richiede strategie definite collegialmente, figlie di un percorso di condivisione con le istituzioni e, soprattutto, con le parti sociali».
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