Ripiombare nell’incubo Sauvignon è la paura di produttori e addetti ai lavori

Il danno d’immagine rischia di coinvolgere anche chi non c’entra nulla. E la Gdo potrebbe “tagliare” i contratti di vendita 

UDINE. Ripiombare nell’incubo Sauvignon. Riavvolgere il nastro dei ricordi peggiori, tornare indietro a quell’autunno del 2015 quando il mondo dell’enologia friulana fu messo a soqquadro dall’inchiesta sulla presunta sofisticazione di quello che è il vino bandiera del territorio.

È questo il timore degli operatori del settore non appena hanno avuto chiari i contorni dell’inchiesta della Procura di Pordenone sui falsi Dop e Igp, con il blitz dei Nas e degli organi di controllo in diverse realtà di mezza Italia. Il Friuli, a quanto pare, è coinvolto con un unico soggetto, vale a dire la Cantina di Rauscedo e con alcuni soci e conferitori. Collio e Colli Orientali, cioè il top di gamma, non sono stati toccati dalle perquisizioni.



Ma non è questo il punto. «Perchè se viene su un polverone - dice un addetto ai lavori che in tanti anni di vigneti e cantine ne ha viste di cotte e di crude - ne risente tutto il sistema. Si sta poco a danneggiare ogni vignaiolo, a gettare un’ombra sul lavoro di centinaia di persone. Il settore va protetto, chi ha eventualmente sbagliato se ne assuma le responsabilità, ma restiamo cauti e attendiamo quanto dichiarerà l’autorità giudiziaria.

Naturalmente ogni verifica a garanzia del consumatore finale va benissimo, ci mancherebbe. Del resto i vini a denominazione Dop e Igp devono seguire un preciso Disciplinare, si tratta comunque di materia molto tecnica. Non vorrei che finisse tutto in niente, come è già accaduto nel recente passato».

Cosa può essere accaduto dunque nel processo di filiera, dall’uva raccolta in vigna all’imbottigliamento? I vini contestati, secondo le accuse della Procura, sarebbero stati ottenuti con uve prodotte ben oltre i limiti massimi di resa. L’ultima stagione, effettivamente, è stata particolarmente generosa, soprattutto in pianura, nelle Grave, e per alcuni tipi di uva, Prosecco e Pinot grigio in primis.

Potrebbe essere che qualcuno abbia “rivendicato” a Doc tutta la quantità prodotta da ogni ettaro di vigneto, anche se il Disciplinare non lo consente. Un esempio banale: il vignaiolo si ritrova con 300 quintali di Prosecco, 216 può rivendicarli a Doc (con l’aggiunta, consentita, del 20%) ma gli altri 84 quintali? Dove sono finiti? Non ci sono le superfici a cui attribuire questa quantità in eccesso, quindi quelle uve restano stoccate nelle botti. In attesa di cosa? Non certo di diventare Prosecco Doc, il Disciplinare lo vieta. C’è da capire, dunque, come siano stati gestiti gli sforamenti di produzione.

Almeno questo vorranno accertare gli inquirenti. Un secondo problema è dato dal tasso di alcol naturale. Se i valori analitici in raccolta sono al di sotto della gradazione minima (che varia per ciascun tipo di vino e di territorio), quel vino non può diventare Doc.

Ecco quindi che qualcuno potrebbe aver “aiutato” a corroborare la gradazione naturale, ma anche ciò non è consentito in caso di Doc e Igp. Infine alcune tipologie di vini sono state qualificate con il nome di varietà di uva diversa da quella realmente utilizzata. Può darsi, in questo ultimo caso, che il normale Glera sia stato spacciato per Prosecco. Anomalia vietatissima, se stiamo sempre nell’ambito di Denominazione di origine controllata.

Gli inquirenti parlano di «enormi quantitativi di vini immessi nel mercato» che comunque - è bene sottolinearlo - «non costituiscono un pericolo per la salute del consumatore».

Ma il guaio resta intatto e le conseguenze sono imprevedibili. Perchè se dovessero essere appurati frode in commercio o falso, chi ha fatto il furbo ne pagherebbe le conseguenze. Multe salate, ma anche la disdetta dei contratti con la Gdo, la Grande distribuzione organizzata, uno dei canali dove attualmente rossi e bianchi si vendono di più e meglio. «Se ti dicono che non vogliono vini delle aziende coinvolte - racconta un altro addetto ai lavori - vuol dire che il tuo fatturato prende una botta. E chissà per quanto tempo».

 

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