Renzi a Trieste: "Il futuro di Serracchiani? Deciderà il Pd del Fvg"

Matteo Renzi evita, da provetto esperto della politica nazionale che senza dubbio si aspettava un affondo del genere, la madre di tutte le domande – almeno per chi vive in Fvg – e cioè se Debora Serracchiani, nel 2018, si ripresenterà in Regione per provare a conquistare nuovamente piazza Unità oppure “volerà” in Parlamento e, almeno ufficialmente, rimette la decisione nelle mani del partito friulano.
No, il segretario nazionale dem – intervistato dal direttore de “Il Piccolo” Enzo D’Antona nella cornice di Portopiccolo a Sistiana in occasione della presentazione del libro “Avanti!” – non scioglie il nodo sul futuro della governatrice e non si spinge nemmeno a definire il perimetro delle possibili alleanze. «Esattamente come avvenuto in Sicilia – ha detto l’ex presidente del Consiglio - le valutazioni saranno stilate dal partito del Fvg. Da dirigenti, iscritti e militanti dem della regione, non da Roma. Penso, però, che chi alimenta una correlazione diretta, sia per i candidati che per le coalizioni, tra le elezioni locali e nazionali non sempre indovina oppure tiene in debita considerazione i numeri e i dati di fatto».
Variabili che per Renzi dipendono da zona a zona. «In Sicilia avevamo immaginato di candidare un esponente del Pd – ha continuato – considerati gli autorevoli nomi a disposizione. Poi ci è stato richiesto di realizzare un’operazione diversa, allargando lo schieramento, scegliendo un personaggio civico fuori dai partiti e che provenisse dal mondo sociale oppure universitario e abbiamo accettato. È un modello che si può esportare? Dipende molto dalle singole realtà. Personalmente, però, credo che questo dibattito addormenti tutti e senza dubbio il sottoscritto. Esattamente come il discorso sulla coalizione. La disegnerà il partito trovando le soluzioni più adatte. Io mi occupo delle questioni serie che riguardano gli italiani, come il lavoro, le tasse, la crescita economica».
E a proposito dei problemi reali, l’ex premier tiene soprattutto a chiarire un punto, peraltro contenuto nel suo libro, e cioè quel “Back to Maastricht” basato su una diminuzione delle tasse con una modifica dei parametri degli accordi europei per provare a ridurre debito e tasse investendo sulla crescita e cancellando l’austerity di Bruxelles. «E’ una proposta che può valere soltanto – ha proseguito – per un Governo con un’intera legislatura davanti, non riguarda la prossima legge di Bilancio. Il Pd, quindi, non intende creare difficoltà alla costruzione della prossima Finanziaria in Parlamento ed è fedele al Governo di Paolo Gentiloni».
Un esecutivo che ha alcuni mesi di vita davanti a sé e una maggioranza con almeno una manciata di temi da provare a completare, a partire dalla legge elettorale. «Manca poco alla fine della legislatura – ha spiegato Renzi – e come Pd sosteniamo: se c’è l’accordo di tutti va bene. Se questo, invece, può essere visto, e poi utilizzato artificiosamente, come un elemento di forzatura, contro qualcuno, allora è difficile da accettare. Vedremo, noi abbiamo dato la disponibilità vera e sostanziale, ma ho l’impressione che gli altri non vogliano andare fino in fondo». E se «la rottura del Patto del Nazareno ha rappresentato una frattura profonda con Berlusconi» per cui un nuovo accordo sulle riforme «diventa sostanzialmente almeno molto difficile da ipotizzare», Renzi difende il Pd come «l’unico partito d’Italia che sceglie il proprio leader attraverso il voto di milioni di persone» e riflette sugli errori compiuti al Governo perché «abbiamo sbagliato comunicazione sulla scuola e sugli 80 euro» e pure la sua frase «aiutiamoli a casa loro» sui richiedenti asilo. «E’ un concetto sacrosanto – ha concluso il premier – e noi abbiamo aumentato i fondi per la cooperazione. Poi se un uomo è in mare va salvato, ma noi non possiamo accogliere tutti. Per cui gli Stati dell’Unione devono rispettare gli accordi di riallocazione dei migranti, oppure, visto che ogni anno l’Italia versa 20 miliardi all’Ue, smetteranno di prendere i nostri soldi».
Sul tema delle banche ha detto che «il racconto fatto in questi anni grida vendetta, perché le cose non sono andate così. Non si può dire che il problema del sistema bancario italiano sono quattro banche popolari, di cui noi abbiamo salvato i correntisti commissariandole, quando il vero scandalo è stato fatto qualche anno fa, con Monte dei Paschi di Siena, Antonveneta e alcune banche in Puglia».
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