Quote latte, il gip archivia ma conferma i dati falsi su mucche e produzione

UDINE. Alla fine gli allevatori penalizzati per un paio di decenni dal “come” le quote latte sono state applicate nel nostro Paese, avevano ragione: il sistema era falso.
Lo dichiara il Gip di Roma, Paola Di Nicola, nelle oltre 30 pagine di motivazione alla decisione di archiviare l’inchiesta penale sulla materia generata da decine e decine di esposti di allevatori depositati in svariate procure, ben 64, tra cui quelle friulane di Udine e Pordenone, ma non perché i denuncianti avessero torto, ma perché «la responsabilità penale è personale e nonostante le approfondite indagini svolte, sino a oggi è emerso soltanto un quadro desolante di diffusa incapacità, neghittosità, perseguimento di interessi di singoli centri di potere e assenza di trasparenza rispetto agli obblighi gravanti sulla Pubblica amministrazione».
Venendo alla materia del contendere, l’inchiesta della procura romana (aperta a carico di ignoti per i reati di abuso d’ufficio, falso, omissione in atti d’ufficio, associazione a delinquere e truffa) puntava ad accertare se – ed era questo il sospetto – per le campagne dal 2012 al 2015 (i fatti precedenti sono prescritti), le comunicazioni dell’Italia circa la produzione di latte fossero non veritiere, peraltro dando origine a pesanti sanzioni da parte della Ue per sovra produzione.
Dopo anni di indagini, il Gip da per certo che «i dati posti a fondamento del regime delle quote latte in Italia sono non veritieri in quando fondati su autodichiarazioni spesso false e su un sistema di calcolo errato». Non bastasse, è certo che «la falsità dei dati è nota a tutte le autorità amministrative e politiche rimaste consapevolmente inerti per 20 anni per evitare di scontentare singole corporazioni e centri di interesse, così determinando ingenti danni allo Stato italiano che ha pagato le multe e gli allevatori/produttori che fino a oggi hanno rispettato le regole».
Individuato anche uno dei meccanismi di calcolo fraudolento: il conteggio delle vacche da latte non limitato ad animali fino a 120 mesi (dieci anni di età), bensì a 999 mesi (82 anni...), parametro fortemente voluto da Agea (l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura) che ha evidentemente falsato il numero degli animali capaci di produrre latte e di conseguenza anche la quantità di latte effettivamente prodotto nell’epoca delle quote, fino al 2015.
Le indagini dei carabinieri del nucleo anti-frode avrebbero dimostrato le incongruenze nei data-base delle anagrafi bovine. «Se il quantitativo complessivo sulla produzione fosse stato gonfiato, tanto da aver fatto superare la quota nazionale in base a dati non corrispondenti al vero – si legge ancora nel documento – le conseguenze sarebbero deflagranti, perché le sanzioni pagate dall’Italia all’Ue e il prelievo supplementare chiesto ai singoli produttori, potrebbero non essere dovuti».
La Gip richiama anche gli esiti di precedenti inchieste, mai approdate in dibattimento, che avevano però messo in evidenza le distorsioni del sistema, e anche la commissione di indagine amministrativa costituita nel 2009, dall’allora ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia, che aveva messo in evidenza «l’inattendibilità dei dati relativi alle produzioni autocertificate dagli acquirenti e dai produttori di latte, dati posti da Agea alla base della quantificazione sia del superamento delle produzioni nazionali rispetto al quantitativo assegnato allo Stato italiano, sia dei prelievi supplementari imputati ai singoli allevatori».
In sintesi: «si sono intrecciate negli anni malcostume, inerzia, negligenza, approssimazione, connivenze, collateralismo, assenza di senso delle istituzioni e di rispetto delle regole minime di trasparenza e buon andamento della Pubblica amministrazione da parte degli organi preposti ai controlli che per legge avrebbero dovuto provvedervi, tale da rendere difficile, se non impossibile, l’individuazione di responsabilità singole per fatti determinati, come la sede penale impone».
Scrive ancora il Gip, che le Commissioni d’inchiesta parlamentari avevano svelato il meccanismo «di plateale falsificazione dei dati», ma la politica non è riuscita varare alcun atto concreto «se non quello della passiva e inerte accettazione del malcostume diffuso, mai fermato, mai sanzionato».
Conferma il giudice per le indagini preliminari, che è certo il ruolo di un “gruppo ristretto” (composto da funzionari delle Regioni, di Agea, del ministero dell’Agricoltura) che per anni avrebbe gestito il meccanismo della verifica della coerenza produttiva senza alcuna trasparenza. Ma ciò «non costituisce reato» perché l’esistenza di questo gruppo era nota a tutte le istituzioni, ministero dell’Agricoltura compreso.
«Da ciò consegue – conclude la Gip – che il presente provvedimento deve essere archiviato in ordine all’unico potere spettante a questa autorità giudiziaria ovvero l’individuazione di responsabilità penali individuali, in quanto il modo sconsiderato e generalizzato in cui, per anni, è stata amministrata la cosa pubblica con riferimento alla questione “quote latte”, appartiene al piano politico amministrativo di cui sono altri i soggetti istituzionali che devono assumersi l’onere della ricerca di altro tipo di responsabilità».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto