Quei documenti dimenticati tra migliaia di carte ingiallite

UDINE. Erano state riposte con altri documenti, in vecchi scatoloni ammassati nell’archivio del tribunale di Venezia, dimenticate tra centinaia di carte ingiallite. Ma da quell’oblio le due lettere scritte a mano dall’ingegnere Giuseppe Taliercio durante il suo sequestro nel covo delle Brigate rosse a Tarcento sono emerse. E ora, grazie all’inchiesta pubblicata sul supplemento settimanale Venerdì di Repubblica, possiamo conoscerle. Due scritti inediti che restituiscono, come si legge nell’articolo, «la storia straordinaria di un uomo ordinario».

La prima lettera è datata 7 giugno 1981, 18 giorni dopo il suo sequestro a opera di quattro uomini – Antonio Savasta, Gianni Francescutti, Pietro Vanzi e Francesco Lo Bianco – che si presentarono al suo appartamento al numero 12 di via Milano a Mestre. L’ingegnere, direttore del petrolchimico Montedison, scrive a Luigi Di Stasi e, per conoscenza, a Riccardo Bosio del sindacato dirigenti definendo «difficile e tragica» la situazione in cui si trova, rimproverando ai colleghi la reazione «blanda e di pura facciata» al sequestro.

Auspica per sé un destino analogo a quello del magistrato D’Urso liberato dalle Br e denuncia «la cortina fumogena che la classe politica stende per coprire così gravi problemi» e il «blackout su tutta l’iniziativa Br che nascondendo il problema della lotta armata, nasconde in modo farisaico una realtà incontrovertibile». La seconda lettera – sempre indirizzata a Di Stasi e Bosio – è del 16 giugno, a 19 giorni dal ritrovamento del suo corpo in una Fiat 128 vicino al Petrolchimico.

Nelle tasche della giacca un pacchetto di sigarette, una calcolatrice Casio, un libricino di Marcello Marchesi. Taliercio si appella ai colleghi chiedendo loro «di approfondire, attraverso i mezzi di comunicazione, il tema della ristrutturazione (del Petrolchimico ndr).

Un prigioniero che scrive sotto dettatura, l’ingegnere: «Mi si chiede di precisarvi che non può rimanere fuori da questa azione la voce e il pensiero dei protagonisti e di chi se ne fa carico insieme a loro, delle lotte contro la cassa integrazione, i licenziamenti, la mobilità. Obiettivo raggiungibile imponendo o comprando degli spazi sulla stampa, sia a livello regionale che nazionale, per dare voce alle lotte operaie e alle Br».

Come si legge nell’articolo è dalla trascrizione dell’interrogatorio dalle audiocassette distrutte che emerge «la pacata resistenza di Taliercio». «Di quello che succede in fabbrica il primo responsabile è sempre il direttore – dice ai terroristi –. Quindi, siccome una fabbrica di queste dimensioni ha parecchie grande non si dorme la notte... poi ci siete anche voi che mi combinate altri pasticci: mi avete fatto fuori il miglior collaboratore che avevo» riferendosi all’assassinio, un anno prima, del suo vice Sergio Gori.

Nel 1991 furono pubblicate due lettere scritte da Savasta alla moglie di Taliercio, Gabriella: «Suo marito era un uomo pacato, pieno di fede, incapace di odiare con una dignità massima. Questo non le restituirà molto, ma sappia che la parola che portava suo marito ha vinto la battaglia».

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