Pratica per soli medici, 2 condanne
TARCENTO. Lei è un’infermiera professionale, lui un naturopata. Insieme hanno lavorato per anni nello studio che lei possiede a Tarcento, sottoponendo i loro pazienti anche a trattamenti di idrocolonterapia. Finchè, nel 2010, un esposto anonimo presentato in Procura contro di lui non li ha fatti finire al centro di un’inchiesta, culminata nel sequestro del macchinario e nella richiesta di rinvio a giudizio per entrambi. Identica l’accusa: concorso in esercizio abusivo della professione medica. Perchè per svolgere quel tipo di pratica, secondo il pm che li aveva indagati, bisognava essere medici, oppure infermieri costantemente supervisonati da un medico.
Tesi che il giudice monocratico Matteo Carlisi, nel processo concluso ieri al tribunale di Udine, ha soltanto parzialmente accolto, pronunciando sentenza di assoluzione per l’infermiera e di condanna per il naturopata, ma procedendo nel contempo a una riformulazione del capo d’imputazione che ha portato comunque anche alla condanna di lei. La pena - un mese di reclusione a testa, con il beneficio della sospensione condizionale - è stata inflitta a Maurizio Ferrari, 64 anni, di Tarcento, per l’imputazione originaria dell’esercizio abusivo della professione medica, e alla sua convivente Paola Zamò, 52 anni, in quanto ritenuta responsabile per concorso omissivo nel reato contestato a lui. Nel rivalutare l’impostazione accusatoria, all’esito della lunga istruttoria dibattimentale che aveva visto sfilare una ventina di testi, il pm Alessandra Burra aveva concluso con una richiesta di assoluzione per entrambi gli imputati.
Insoddisfatto del verdetto, l’avvocato Massimo Zanetti, difensore di fiducia di entrambi, ha annunciato appello e manifestato disappunto per il lungo periodo di tempo (quattro lunghi anni) in cui il macchinario adoperato per l’idrocolonterapia è rimasto sotto sequestro, con conseguente paralisi dell’attività. A differenza di quanto indicato nel capo d’imputazione, inoltre, il legale ha ricordato come nel corso del dibattimento fosse emerso che tutti i 14 pazienti sottoposti al trattamento tra il 2002 e il 2010 si erano presentati nell’ambulatorio muniti della dovuta prescrizione medica.
Nel formulare l’ipotesi di reato, il pm Andrea Gondolo aveva fatto proprio l’esito della consulenza di uno dei due medici ai quali si era rivolto e che aveva precisato che quel tipo di prestazione poteva scaturire soltanto da un corso di laurea in Medicina e chirurgia. Per la difesa, invece, del suo svolgimento l’infermiera avrebbe potuto delegare anche una persona di supporto sotto la propria responsabilità.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto