Potere del disgelo: l’Avana trasmette la sentenza su Reiver

LIGNANO. La condanna a 20 anni di reclusione inflitta dal tribunale popolare dell’Avana a Reyver Rico Laborde, il 24enne cubano che la notte tra il 18 e il 19 agosto 2012 massacrò, insieme alla sorella Lisandra, i coniugi Burgato, è una pena «non vendicativa, ma giusta e necessaria per chi, come lui, commette fatti così barbari da renderlo inadeguato a vivere nella nostra società». C’è una lezione di vita anche morale nelle pagine della sentenza che il ministero della Giustizia ha trasmesso alla Procura generale della Repubblica di Trieste e alla Procura di Udine.
Chiesto attraverso l’ambasciata nell’estate del 2013, l’atto è stato finalmente recapitato al pm Claudia Danelon, titolare dell’inchiesta conclusasi con l’individuazione dei due fratelli killer e culminata nella condanna all’ergastolo di Lisandra (il verdetto è stato emesso dal gup di Udine nell’ottobre del 2013 e confermata in Appello lo scorso ottobre) l’altro giorno. In contemporanea, cioè, con la notizia dello storico disgelo tra Cuba e gli Usa. Una coincidenza, certo, ma foriera di ottimi auspici.
Letta con intuibile curiosità, oltre che alla luce delle esigenze processuali del pm friulano, che continua a mantenere aperto il fascicolo a carico di Rei, la sentenza chiarisce innanzitutto l’entità della pena: non 25 anni, come erroneamente comunicato da fonti diplomatiche, bensì 20. Il collegio giudicante, che era composo da cinque magistrati, ha ritenuto l’imputato colpevole di duplice omicidio aggravato, unendo i due delitti dal vincolo della continuazione, ma gli ha riconosciuto anche l’attenuante prevista all’articolo 52-ch del Codice penale sulla collaborazione con gli inquirenti. «Reyver - si legge nel dispositivo redatto dal giudice Nancy Mojena Aguilar e tradotto dal cubano all’italiano - ha contribuito a far luce sui fatti, non solo confessando, nella fase istruttoria, di avere partecipato al fatto delittuoso, ma anche fornendo dettagli sulla fine fatta fare agli oggetti usati per commetterlo, consentendo il loro ritrovamento».
La pena è stata fissata «in misura superiore al minimo edittale e inferiore al massimo», sia tenenendo conto dell’incensuratezza dell’imputato - descritto come «persona spesso coinvolta in risse e disturbi dell’ordine pubblico e dedito a traffici illeciti» -, sia del comportamento tenuto dopo il suo arresto, avvenuto il 31 agosto 2012, poco dopo il ritorno dalla famiglia, a Camaguey. Nel corso del processo - causa 206 del 2013, conclusa il 5 luglio - il suo difensore cubano aveva chiesto che gli fosse concessa l’attenuante straordinaria della Legge Sostanziale. «Non è sussistente - ha concluso il tribunale -, giacchè la collaborazione non è stata essenziale per chiarire i fatti».
Collaborazione o no, a contare sono i fatti: due anziani trucidati, a scopo di rapina, cioè per un futile motivo. Su questo, Cuba sembra non transigere (sebbene la pena sia assai inferiore a quella toccata in abbreviato a Lisandra). «L’imputato - si legge - ha dimostrato totale disprezzo per la vita dei suoi simili, sottoponendo a torture fisiche due persone che, per età e costituzione fisica, gli risultavano agevoli da piegare nella volontà». Totale il biasimo espresso dai giudici: l’imputato «ha tradito i valori etici e morali che lo Stato si è dato come priorità fondamentale nell’educazione dei suoi cittadini», divenendo «un esportatore del crimine» e «gettando nel lutto una famiglia italiana».
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