Quell’assassino che è figlio dell’isola “double face”

Chissà se Reiver Laborde Rico detto Tyson, il macellaio con sua sorella Lisandra dei coniugi Burgato, ha saputo del crollo dell’ultimo tabù ideologico e che il suo Paese ha imboccato la strada della normalizzazione delle relazioni diplomatiche con gli States e più in generale con l'Occidente...
Chissà quanto ha contato nella sua fuga la consapevolezza o il calcolo che quel muro invisibile eretto contro buona parte del resto del mondo lo avrebbe messo in qualche modo al riparo dalla giustizia che lo braccava... Chissà se questa svolta epocale sarà penetrata anche nella sua cella ammantando la sua carcerazione di altre prospettive...
Lo ricordo bene, Tyson quel primo pomeriggio di oltre due anni fa quando l'ho incontrato a Puerto Azzurro, uno dei quartieri popolari a ridosso di Camaguey punteggiati di case colorate, gente sorridente e un dedalo di strade che s'intersecano perpendicolarmente. Era seguito da una dozzina di giovanotti.
Lui era il capobranco, l’arricchito che arriva dall'Italia, l'emigrante che ha fatto fortuna e che può esibire denaro e quindi potere. Dal nostro Paese si era portato appresso il peggior fardello del peggiore capitalismo: la bramosia per il denaro, la foga per l'arricchimento facile e a tutti costi, il desiderio di smarcarsi dal resto del gregge ostentando una presunta diversità economica.
Camicia blu, occhiali neri, sicuro, tranquillo, spavaldo. Felice di incontrare un giornalista friulano cui ostentare sicumera e malcelata strafottenza. «Vieni a bere una birra a casa mia», mi aveva detto. «No grazie, restiamo in strada» avevo replicato non fidandomi di quello strano codazzo. Poi aveva parlato, Reiver.
Aveva negato tutto. Aveva fatto spallucce. Già, pensava che tra la giustizia italiana che lo inseguiva e Cuba la distanza fosse siderale, incolmabile. Un paio d’ore più tardi assieme agli altri colleghi mi trovavvo agli arresti in una delle caserme del ministero dell’immigrazione a rispondere a una raffica di domande.
Poliziotti gentili, ma ligi al copione del regime con il compito di sottoporci a un interrogatorio surreale. Certo, il reato era stato consumato e lo sapevamo, ma era l'unico modo per bypassare le cinture di sicurezza e l’autoprotezione di un regime che poco ama i media soprattutto se stranieri. Eravamo accusati di essere entrati a Cuba con il visto "holiday" e non per lavoro.
Vabbè, così fan tutti a Cuba e le autorità locali sapevano e sanno benissimo che tutti i turisti, da quelli in cerca di emozioni erotiche ai business man, hanno il visto vacanziero e non per lavoro.
La grande contraddizione di Cuba, un regime che comunque nulla ha mai avuto da spartire con il furibondo grigiore repressivo dell’ex Unione sovietica e dei Paesi suoi vassalli, era ed è quello di lasciar violare o infrangere alcuni diktat senza fare casino. Quartieri poveri e una city europea, paghe da fame ma il doppio mercato grazie all’industria del sesso; l'inutile, folle embargo americano e le merci che arrivano dalla Florida attraverso i tanti europei che laggiù vivono e fanno affari.
La Cuba double face si vedeva e si vede costretta a chiudere ogni giorno non uno ma entrambi gli occhi di fronte a una sorta di schizofrenia che ha costretto il regime a una progressiva tolleranza e a un laissez faire propedeutico all’incipiente commistione tra statalismo e libero mercato, tra ideologia di regime e logica mondialista 2.0
Già, rispetto al web il ritardo di Cuba è volutamente abissale nel mentre le eccellenze di sanità, scuola e welfare in genere dispiegano una potenzialità davvero encomiabile.
La Cuba dalle due facce insomma, quella dei volti sorridenti e del ghigno di River, degli interrogatori di poliziotti che tra una domanda e l’altra ti chiedono anche del Milan e della Juve, delle ragazze che si danno per 50 euro e degli hotel per turisti a 180 dollari la notte. Ma anche la Cuba dell’Avana, città patrimonio dell'Unesco, fatta di architetture fantastiche e gente meravigliosa che va messo al riparo immeditamente dagli effetti devastanti che il malaffare degli appetiti neoliberisti potrebbe suscitare.
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